V ed ultima puntata del reportage di Vittorio Agnoletto dal Festival del Cinema di Locarno
POESIA ED ANARCHIA DALL’AMERICA LATINA
Diversi sono i titoli del cinema latinoamericano presentati a Locarno, tra questi certamente uno dei più interessanti e che ha riscosso grande successo di pubblico, è “Te prometo anarquia” una produzione del regista messicano Julio Hernandez Cordon.
L’ambiente della narrazione è il mondo dello skateboard, dove si formano forti legami di amicizia nelle bande giovanili con loro linguaggi, simboli e fedeltà. Il mondo è quello delle periferie, dove ci si arrangia per sopravvivere e dove nessuno conosce l’esatta demarcazione tra l’attività legale e quella illegale, fino a quando l’illegalità non compare con tutta la sua forza, ma allora sarà troppo tardi. Il Messico appare come un’immensa terra di nessuno, dove regole di convivenza non esistono e tanto meno è presente la legge in una delle sue possibili declinazioni. In questo deserto alla fine sarà ancora una volta l’appartenenza sociale a segnare il diverso destino dei due bravissimi giovani attori: Eduardo Martinez Pen e Diego Calva . Quando al termine della proiezione, durante l’incontro con il regista, qualcuno ha chiesto perché davanti al rapimento di tutti i loro più cari amici nessuno dei due protagonisti ha ritenuto di rivolgersi alla polizia, la risposta non ha lasciato dubbi. In Messico rivolgersi alla polizia equivale unicamente a crearsi ulteriori problemi con il rischio di entrare innocente nel commissariato e di uscirne, se va bene, in barella.
Di deserto e di anarchia, seppure con valenze non sempre coincidenti parla anche un altro film. “El movimiento” una pellicola in bianco e nero del regista argentino Benjamin Naishtat, ambientato nella prima metà del XIX secolo, racconta di una terra vasta e desolata precipitata nella più completa anarchia. In assenza di qualunque struttura statuale, il vasto territorio della pampas argentina è percorsa non da bande giovanili munite di skateboard, né da nuclei della moderna criminalità organizzata, bensì da gruppi armati che maltrattano contadini ed allevatori, richiamandosi ad un mai precisato, né meglio descritto “Movimiento”. Richiamo ad un’identità astratta, nel nome della quale tutto può essere giustificato e in nome del quale la popolazione dovrebbe sottomettersi ad una delle bande che spadroneggiano nel territorio. Film fortemente allegorico di un mondo abbandonato a se stesso, privo di qualunque direzione, segnato dall’avidità senza freni di pochi e dall’incapacità di costruire un’alternativa da parte di tutti coloro che aspirano a modificare la situazione presente. Film dalla grandi pretese, ma sufficientemente sconclusionato.
“Siembra” “Semina”, opera dei giovani colombiani, Angela Osorio Rojas e Santiago Lozano Alvarez, racconta la vicenda di un pescatore che ha dovuto abbandonare la costa del Pacifico per sottrarsi ai conflitti armati che da anni sconvolgono la regione, e trasferirsi a Calì. Film suggestivo ed emozionante, anch’esso girato in bianco e nero, descrive con tocco poetico la vita dei desplazados dalle usanze quotidiane alla celebrazione della morte.
L’ASIA RIFLETTE SU SE STESSA E SULL’ UMANITA’
Sacrificato è parso in questa edizione del Festival il cinema asiatico ed orientale; due i titoli che sono parsi di un qualche interesse.
L’iraniano “Ma dar Behesht” “Paradiso”, dell’esordiente regista Sina Ataelan Dena, racconta una storia ambientata a Teheran di una giovane insegnante di scuola elementare che cerca di farsi trasferire da un istituto collocato in una povera e desolata periferia ad una scuola in città e si trova costretta a fare i conti con la burocrazia statale. Il film parrebbe volersi focalizzare sulla vita delle donne iraniane; ma ben poco emerge su questo aspetto, tutt’al più al centro vi è la vita delle giovani bambine ed il tentativo del regime di formarle a propria somiglianza inserendo fin dalla prima età un’educazione ben distinta nei compiti e nei giochi tra maschi e femmine. Per il resto anche la notizia della scomparsa di alcune scolare, forse rapite, resta sullo sfondo, senza nessun approfondimento ed il tutto non è certo facilitato dall’interpretazione ingessata della protagonista Dorna Dibaj.
Più complesso e articolato è la più recente fatica di Vimukthi Jayasundara, regista dello Sri Lanka : “Sulanga gini aran” ( Dark in the White Light). Il film è una disillusa riflessione sul genere umano del nostro secolo, sulle relazioni interpersonali, sugli istinti di autodistruzione che attraversano ogni realtà. In questo cupo orizzonte Jayasundara inserisce personali e particolari note di colore non sottraendosi a suggerire qualche sorriso. Un giovane monaco buddista alla ricerca di verità spirituali, uno studente di medicina che sperimenta i suoi limiti, un trafficante d’organi che agisce nell’indifferenza altrui ed un chirurgo che opera di giorno e stupra le donne di notte, intrecciano le loro storie di corpi sospesi tra la vita e la morte.
QUALCHE SUGGERIMENTO SU COS’ALTRO VEDERE, SE E QUANDO USCIRANNO IN ITALIA
“Schneider vs. Bax” un film olandese di Alex van Warmerdam. Un film drammatico, un thriller a metà strada con una black commedy, ben congegnato, in grado di alternare tensione e sorrisi. Un film da vedere per rilassarsi.
“Suite Armoricaine”, di Pascale Breton. Una professoressa lascia l’università di Parigi per insegnare all’università di Rennes, in Bretagna dov’è nata. Uno studente si innamora di una ragazza nonvedente, ma deve fare i conti con l’arrivo improvviso della madre che stravolge la vita che si era organizzato. L’ordine formale precipita nel caos. Un film con un’articolata e sofistica trama narrativa, con citazioni dotte e intellettuali capace di sorprendere senza mai annoiare.
“Les Etres chers” “Carissimi ” di Anne Emond giovane regista canadese. Un film drammatico con personaggi ben costruiti, ambientato alla fine degli anni 70 in un paesino del Bas St Laurent. Racconta le reazioni che si scatenano in una famiglia quando, ad anni di distanza , i suoi componenti vengono a conoscenza delle vere ragioni della morte del padre. Un finale forse scontato che non dà ragione di un film che invece sa coinvolgere.
…..fine.