III puntata del reportage di Vittorio Agnoletto dal Locarno Film Festival 2015
DA ROMEO E GIULIETTA A LAMPEDUSA
Tra i principali media italiani pochi quest’anno hanno fornito una copertura completa del Festival e tra costoro pochissimi si sono soffermati su alcuni film-documentari che invece hanno costituito una delle più importanti soprese di quest’edizione.
“Romeo e Giulietta” una pellicola italiana di Massimo Coppola, presentato fuori concorso, racconta il tentativo di mettere in scena l’opera di Shakespeare nel campo rom di Tor de’ Cenci a Roma; durante la lavorazione emerge inaspettatamente come i due giovani protagonisti, Nino e Mary, siano a loro volta vittime delle dinamiche non amichevoli tra le due famiglie. La realtà quotidiana delle relazioni familiari presenti nel campo si sovrappone costantemente a quanto narrato nella tragedia.
Nulla nasconde la macchina da presa, capace di muoversi con forte determinazione mista a grande delicatezza, evitando al contempo atteggiamenti stigmatizzanti o indulgenti. Le regole non scritte vigenti nel campo vengono illustrate con decisa sobrietà da uno dei capi famiglia e vissute, subite/condivise dai giovani protagonisti; il confronto di culture passa attraverso l’opera di vera e propria mediazione interculturale operata in tempo reale dalla troupe che a sua volte scopre solo strada facendo quanto sia difficile e quanti errori si possano commettere senza accorgersene. Le discussioni sul bacio vietato tra i due adolescenti ne sono solo l’aspetto più appariscente. Ed il finale fuori pellicola non è altro che un’ulteriore conferma delle differenze sociali ed esistenziali, non solo culturali, esistenti: quando il regista torna al campo per mostrare, come promesso, la pellicola, il campo è deserto, della comunità rom non c’è traccia. Profondamente in linea con il contesto l’interpretazione di Valerio Mastrandrea; una pellicola da vedere capace di evitare ogni stereotipo sul tema.
“Dentro il dramma dei migranti che muoiono attraversando il Mediterraneo, “Lampedusa in Winter” racconta la vita, i problemi e le sofferenze , ma anche le speranze e i sogni delle donne e degli uomini dell’isola che provano a confrontarsi con istituzioni lontane…..” Con questa motivazione Jakob Brossmann, regista viennese non ancora trentenne, ha vinto il premio “Boccalino 2015”, che ogni anno viene assegnato c/o il centro Rivellino di Locarno, non raramente in polemica con la giuria ufficiale, al miglior film indipendente presente al Festival.
E’ inverno, i turisti hanno abbandonato l’isola e mentre continua l’arrivo dei migranti il traghetto che collega Lampedusa con la Sicilia va in fiamme; gli abitanti, i pescatori, restano isolati, gli approvvigionamenti scarseggiano e il pesce rimane invenduto. Il globale e il locale, il dramma dei migranti e le fatiche degli isolani si intrecciano tra loro accompagnando lo spettatore a scoprire una piccola comunità ai confini del continente impegnata nella sua strenua lotta per la sopravvivenza quotidiana e per la solidarietà con i rifugiati africani. Mentre vengono sepolti i corpi senza nome, si raccolgono i messaggi di poche righe ritrovati nascosti, spesso cuciti nei jeans, perché durante l’attraversata s’impara che nemmeno gli orifizi del corpo sono rifugi sicuri.
Il film, come recita l’ultima inquadratura, “E’ dedicato all’Europa”, cieca e sorda, come mostrano gli eventi di queste settimane, davanti al dramma che si consuma nel suo sud estremo. Una pellicola che merita di fare il giro del continente e che spero di riuscire a far proiettare nei prossimi mesi, ad esempio il 10 dicembre in occasione della giornata mondiale dei diritti umani, proprio nell’aula del Parlamento Europeo.
LA POLITICA E I SUOI GIOCHI
” Le grand jeu” “ Il grande gioco” e “Guibord s’en va-t-en guerre“, “Guibord va alla guerra” sono due film che, pur nella loro diversità, si muovono nel mondo della politica.
Guibord è un parlamentare indipendente eletto in una contea del Québec settentrionale il cui voto, per una particolare coincidenza, è diventato determinante per decidere l’entrata in guerra del Canada. Non sapendo quale scelta fare decide di indire una consultazione tra i suoi elettori. Ma lo svolgimento della consultazione dovrà fare i conti con le interferenze di lobby di ogni tipo, con le promesse di una fulminante carriera politica e non da ultimo con qualche sussulto della sua coscienza. Metafora del mondo globalizzato, Guibord diventerà nel frattempo la star di un piccolo villaggio haitiano. Certamente il regista, quando ha realizzato il film, non sapeva che solo pochi mesi dopo, in Grecia, si sarebbe svolto un referendum nel quale un popolo di una piccola nazione avrebbe cercato di difendere la propria libertà dalle grandi lobby economico-finanziarie globali, ma non c’è dubbio che i temi trattati con grande leggerezza e con sapiente ironia alludono a situazioni che vanno ben al di là di una remota regione canadese. Un film divertente ma anche istruttivo.
Ne “Il grande gioco” domina l’intrigo, una politica trasformata in manipolazione dove si scontrano interessi mai chiaramente dichiarati ma che per tutta la durata del film rivendicano esplicitamente la loro supremazia sulle dinamiche parlamentari. Tutto avviene fuori dal gioco istituzionale, ma tutto ricade sugli assetti statuali e questo avviene in Francia, dove il senso dello Stato è ben più forte che nel nostro Paese e dove i partiti hanno ancora una loro dignità da invocare davanti alla pubblica opinione. Se si considera che Nicolas Pariser è al suo primo lungometraggio come regista, il giudizio è certamente positivo, il ritmo c’è e la trama, a metà strada tra il noir e il thriller, tiene, anche se risulta totalmente fuori dal tempo e decontestualizzata la rappresentazione dei gruppi della sinistra, più simili alle comuni degli anni ’70 che ai movimento odierni.
…..continua