In Italia 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica e 1 su 100 è vittima di maltrattamenti. 1 su 20 vive in aree inquinate e a rischio di mortalità. 1 su 50 soffre di una condizione che comporterà una disabilità significativa all’età dell’ingresso nella scuola primaria, 1 su 500 vive in strutture di accoglienza. Più di 8 bambini su 10 non possono usufruire di servizi socio-educativi nei primi tre anni di vita e 1 su 10 nell’età compresa tra i 3 e i 5 anni”.
Queste sono le cifre che indicano le condizioni effettive dei bambini e degli adolescenti italiani presentate dal gruppo di monitoraggio sull’attuazione delle disposizioni della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, a cui il Belpaese ha aderito nel 1991. Il cosiddetto Gruppo CRC (dall’inglese “Convention on the Rights of the Child”), un network attualmente composto da 87 soggetti del terzo settore che da tempo si occupano in modo attivo della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia (tra cui Caritas, Save The Children e AGESCI), nella presentazione del suo 8° rapporto di aggiornamento sulla Convenzione non ha mancato di evidenziare lo scollamento tra una società che indica enfaticamente il proprio futuro in quello dei bambini e poi si disinteressa dell’attuazione, se non dell’ideazione, di politiche mirate alla tutela della stessa infanzia.
I contenuti del Rapporto delineano una situazione nient’affatto rosea. “Ci sono bambini che fin dalla nascita soffrono di carenze che ne compromettono lo sviluppo fisico, mentale, scolastico, relazionale” ha indicato la coordinatrice del Gruppo CRC, Arianna Saulini di Save The Children. Una premessa che presuppone il doveroso impegno di dedicare nel prossimo Piano Nazionale Infanzia una speciale attenzione ai primi anni di vita del bambino, nel tentativo di realizzare politiche che contribuiscano a superare il divario territoriale nell’offerta educativa, anche stabilendo adeguati investimenti, se non introducendo un meccanismo permanente di monitoraggio della spesa. La mancanza di risorse si accompagna infatti all’assenza di una strategia nazionale e di una visione di lungo periodo nella stessa allocazione dei fondi.
Come evidenziato dai risultati riportati nelle sintetiche righe di apertura, il rapporto prende in esame diversi elementi connessi alla tutela dei diritti dell’infanzia che vanno dal livello educativo e sociale, a quello ambientale, economico e assistenziale. Un indicatore di un certo peso è costituito dal tasso di iscrizione dei bambini italiani al nido che, al 2013, è pari al 13,5% della fascia di età inferiore ai 3 anni (corrispondente a 218.412 bambini), con forti picchi al di sotto di questa cifra nel Sud d’Italia: in Sicilia il 5,6%, in Puglia il 4,4%, in Campania il 2,7% e in Calabria appena il 2,2%. L’assenza di asili nido alla portata di tutte le tasche o il mancato sfruttamento del servizio dicono molto sulla disoccupazione galoppante nel Meridione italiano, specie tra i giovani genitori, se non su una percezione culturale dell’infanzia ben diversa dal nord al sud del Paese. I nidi inesistenti o i nidi vuoti sono fenomeni che hanno entrambi a che fare con lo stato di crescente povertà incontrato dalle famiglie italiane. Anche la povertà minorile è in ascesa. Tra il 2012 e il 2013 i minori in condizioni di povertà assoluta sono passati da 1.058.000 (10,3%) a 1.434.000 (13,8%): una situazione che non può che destare preoccupazione e richiamare un’ampia azione nazionale di contrasto alla povertà.
Le disposizioni della Convenzione internazionale non vincolano il governo italiano solo alla tutela dei suoi cittadini ma, in un più ampio disegno di tutela di ogni essere umano, specie dei più piccoli, anche dei minori stranieri che si trovano sul proprio territorio nazionale, a cui devono essere garantiti tutti i diritti umani. Che si tratti dunque di un bambino europeo in vacanza studio in Italia o di un orfano giunto nel Paese tramite i canali della clandestinità, il sistema di accoglienza italiano e le garanzie dovute al minore debbono essere le stesse, specie per i cosiddetti “minori non accompagnati”. Proprio in quest’ultimo caso, i dati raccontano che nei primi 3 mesi del 2015 sono sbarcati sulle coste italiane 10.165 migranti, di cui 902 minori (289 accompagnati e 613 non accompagnati); centinaia di bambini che attendono di essere collocati in comunità e al momento si trovano, al pari degli adulti, in centri di identificazione e di “emergenza” del Sud d’Italia.
Sono trascorsi venti anni dal primo Rapporto stilato dal governo italiano sullo stato di attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza; dal 2001 il monitoraggio da parte del Gruppo CRC è stato costantemente arricchito dalle pubblicazioni di dati e di analisi, ai quali sono stati dati ampia diffusione grazie a un monitoraggio su ampia scala. Si spera ora in una pronta modifica delle attuali politiche governative verso l’infanzia che fanno del bambino e dell’adolescente un soggetto tutelato e protetto da un genitore o da un tutor, ma mai soggetto pieno di diritti (anche decisori) accordati dalla Convenzione ONU. Un arricchimento dell’immagine e della percezione dell’infanzia sarebbe dunque auspicabile, tanto in politica quanto nella società chiamata ad educare e crescere i fanciulli, cittadini a pieno titolo al compimento dei 18 anni di età.
articolo di Miriam Rossi