L’immigrazione in Europa è un fenomeno in crescente aumento, che sta occupando tutte le prime pagine dei media. Barconi che si ribaltano nel Mediterraneo, migranti che bloccano il Tunnel della Manica, la proposta di muri per dividere le nazioni, ma alla fine l’Europa è incapace di dare una risposta coerente alla situazione.
I sanguinosi conflitti in Afghanistan, in Medio Oriente e in gran parte dell’Africa hanno causato milioni di profughi, la maggioranza dei quali ha perso tutto, tranne la vita. Senza lo spiraglio di un’alternativa migliore, decidono d’intraprendere il cammino per l’Europa, dove le strade sono lastricate d’oro[1]. Perlomeno se hai un tetto sulla testa, potrai essere quasi certo che non sarai ucciso nella notte.
Per l’Ungheria il problema si sta facendo piuttosto serio, dal momento che i migranti che entrano dal confine nell’Unione Europea hanno sopraffatto in toto le capacità delle autorità di registrarli e ospitarli.
Il capo del governo ungherese Viktor Orban ha deciso di affrontare il problema con la brillante idea di bloccare il confine con la Serbia con una recinzione lunga 155 km, ignorando peraltro i 400 km rimanenti da entrambe le parti che non saranno recintati. Questa scellerata decisione è stata presa dopo una dilagante campagna a base di manifesti svoltasi in giugno, che prendeva di mira gli immigrati esortandoli a rispettare la legge e non rubare il lavoro agli ungheresi. O almeno questo sarebbe stato il messaggio, se solo i manifesti fossero stati scritti in lingua araba, pashtun, eritrea o almeno in inglese. Essendo però tristemente scritti solo in ungherese, il messaggio non è arrivato al destinatario, ma ha solo rassicurato gli ungheresi xenofobi riguardo all’azione del governo su questo tema.
I peggiori sostenitori del partito di estrema destra Jobbik hanno il loro personale approccio all’argomento. Hanno distribuito in alcuni luoghi volantini in inglese e in arabo, sostenendo che siccome questi migranti sono degli ospiti in Ungheria, il minimo che possono fare è di ripulire la città al loro passaggio!
Al momento più di 1.000 persone attraversano ogni giorno il confine. Se le fermano, vengono loro prese le impronte e devono chiedere asilo. A quel punto hanno 48 ore per raggiungere il centro di accoglienza designato, altrimenti, secondo la nuova legge approvata il 6 luglio, la loro richiesta può essere cancellata e loro rischiano di finire in carcere.
Il comportamento discriminatorio e violento del governo, deciso a rendere ancora più difficile l’esistenza agli immigrati, ha portato per contrasto a un’incredibile reazione da parte di coloro che si oppongono alle sue politiche. Migszol, il gruppo di solidarietà con i migranti, in azione dal 2012, quando il flusso dei rifugiati era ancora modesto rispetto a quello attuale, ha cercato di fare pressione per porre fine alle politiche di detenzione e chiudere i centri.
Comunque, il miracolo umanitario è iniziato due settimane fa, quando Migszol è stato inondato da uno tsunami di volontari, che volevano lavorare in maniera più diretta con gli immigrati in transito nel paese. Per essere più precisi è stata una reazione alla campagna governativa dei manifesti, con l’intenzione di dimostrare che gli ungheresi non sono fascisti.
E’ stato creato per l’occasione un gruppo su Facebook con il nome Migration AID, che ha già 4.000 membri[2].
Ogni sera alle stazioni ferroviarie delle più grandi città frequentate dai migranti e in quelle di Budapest – Keleti, Nyugaty e Deli – si radunano dozzine di volontari armati di acqua, biscotti, frutta, spazzolini, assorbenti, vestiti e giocattoli per bimbi. Sono spesso loro a portare provviste di ogni genere e ogni notte si aggiungono altri volontari per dare ulteriore aiuto. Alcuni arrivano con poche cose comprate nel supermercato vicino, altri invece vengono senza nulla, solo con la voglia di aiutare nella distribuzione. Altri ancora si recano alle stazioni con le macchine stracariche di pasti già pronti per chi è affamato. Un anonimo uomo d’affari ha donato dieci furgoncini pieni di materiale di ogni tipo, da utilizzare nei centri di raccolta.
Lo scopo del gruppo sembra essere quello di assicurarsi che ogni persona che arriva sia in grado di trasferirsi nei centri d’accoglienza. I nuovi arrivati ricevono un piccolo pacco e vengono aiutati a trovare la stazione ferroviaria successiva. Non si può fare altro, giacché in città non ci sono strutture adatte a una soluzione più a lungo termine.
L’assistenza non è coordinata, eppure tutto funziona bene. Un afgano che ho incontrato si lamentava di avere mal di denti. E’ bastato un messaggio su FB per trovare un dentista disponibile a visitarlo gratis. Un siriano era arrivato a Budapest con un figlio, ma era rimasto separato dalla moglie e dagli altri figli durante l’attraversamento notturno della frontiera. Il gruppo di Facebook si è organizzato per ricongiungerli e alla fine la famiglia si è riunita, con tanta emozione.
Per molti di loro questi amici ungheresi sono le prime persone incontrate dopo mesi che non hanno intenzione di ucciderli, o non vogliono che spariscano senza lasciare traccia.
Quando s’incontra un migrante che parla anche solo un po’ d’inglese, si ha l’opportunità di verificare quale grande tragedia umana sia tutta questa situazione. Durante la mia prima notte nella stazione di Nyugati ho incontrato un ragazzo afgano di 14 anni. I genitori e il fratello maggiore erano stati uccisi dai talebani. Con un altro fratello e un gruppo di amici aveva lasciato l’Afghanistan per entrare in Iran, dove alcuni di loro erano stati uccisi dalla polizia con un colpo alla testa. I più giovani erano stati risparmiati e avevano continuato il viaggio diretti in Turchia. Da qui erano arrivati in Bulgaria, dove erano stati picchiati dalla polizia e derubati di quei pochi soldi che gli erano rimasti. Sono stati poi catturati, varcando il confine ungherese e gli hanno perso le impronte digitali. Ora sono quindi bloccati per un periodo in Ungheria. Al momento hanno viaggiato per 45 giorni. dormendo circa 2-3 ore a notte e camminato nelle ore rimanenti, spesso senza mangiare. Per questo sono emaciati.
Sono rimasto tremendamente colpito dal suo racconto: lui e i suoi compagni di viaggio erano tra i 14 e i 22 anni. Non mi capacito come possano essere sopravvissuti. Uno di loro aveva ferite su entrambe le braccia, causate dai pestaggi in Bulgaria. Erano così grati per il cibo e l’acqua ricevuti che è stato difficile nascondere la mia commozione.
Ogni migrante ha una storia tremenda da raccontare, che provenga dall’Afghanistan o dalla Siria, dall’Eritrea o da altri paesi. Un uomo che sembrava stoico e privo di emozioni è scoppiato in lacrime, quando ha iniziato a raccontarmi della moglie e della famiglia, che ha dovuto abbandonare per non rischiare che venissero tutti uccisi.
Tutto questo accade come in un universo parallelo, in uno spazio-tempo differente. C’è la dimensione spazio- tempo degli ungheresi che si recano in ufficio o tornano a casa e c’è una dimensione diversa, ma simultanea, dove fluiscono i rifugiati, a cui quasi nessuno presta attenzione.
Queste persone non hanno alcun interesse a restare in Ungheria. Vogliono tutti proseguire ancora più a ovest; non appena avranno i documenti se ne andranno. Il problema sta proprio nella possibilità di ottenerli. La maggioranza non aspetta, lascia i centri semplicemente per proseguire verso l’Austria. In realtà i centri d’accoglienza sono già pieni e in ogni caso in quei luoghi non c’è niente da fare. Molti di loro sono già in contatto con qualcuno in grado di aiutarli in un altro paese europeo.
Per poter scrivere questa storia ho incontrato Zsuzsanna Zsohàr, l’addetta stampa di Migration Aid. Quando le ho domandato quale fosse la sua motivazione, lei mi ha risposto in maniera semplice: “Quando arriverà il giorno in cui anch’io dovrò fuggire, spero di trovare un luogo che mi accolga. Non importa da dove vengono, le persone sono persone”.
E’ questo modo solidale di trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati, questo dare disinteressato, senza aspettarsi niente in cambio, che si può trovare in questo straordinario e spontaneo gruppo di supporto; vederli in azione infonde davvero speranza. Non fermerà la marea di rifugiati in arrivo, perché ciò accadrebbe solo se l’Occidente la smettesse di scatenare e finanziare guerre in Asia centrale e in Medio Oriente, iniziando invece ad appoggiare e sovvenzionare lo sviluppo sociale e l’occupazione. Questo piccolo effetto dimostrativo però mette in luce l’aspetto migliore degli esseri umani, in un mondo dove tanti altri stanno invece mostrando il loro lato peggiore.
Traduzione dall’inglese di Paola Mola
Foto di Anita Szeicz:[3]
[1] riferimento alla leggenda inglese di Dick Whittington, che si recò a Londra convinto che le strade fossero appunto d’oro, N.d.T. [2] MigSzol ha chiesto di chiarire che non c’è nessuna relazione organica tra la sua organizzazione e i gruppi di aiuto spontanei di Migration Aid. I volontari di Migration Aid meritano tutto il riconoscimento per ‘la straordinaria capacità di autoorganizzazione e la loro propensione all’aiuto’. [3] Altre foto sono reperibili qui