In queste ore l’entusiasmo e i festeggiamenti per la vittoria del No della Grecia sembrano aver lasciato il posto alla delusione e all’amarezza.
Un rapido tour tra i vari social network. Fino poche ore fa, molti commenti che tifavano per la Grecia, adesso colmi di delusione, mille domande si susseguono sul perché il governo di Syriza alfine abbia ceduto.
Comprendo sgomento e delusione, ma dico pure che è possibile riflettere sulla questione guardandola da un altro punto di vista. Un’angolazione sicuramente meno ideologica, ma forse più pratica.
La posta in gioco era ed è altissima. E’ per questo che nei confronti della Grecia si è scatenata una vera e propria guerra, su più fronti: economico, psicologico, mediatico e sociale.
Diciamocelo chiaro: la Grecia, il suo popolo e il suo governo dopo mesi di coraggiosa e solitaria resistenza si sono trovati di fronte a un bivio.
Da una parte la rottura totale con l’Europa, cui sarebbero seguiti anni durissimi prima di potersi risollevare, con momenti iniziali in cui avremmo assistito a scenari identici a quelli che si aprirono in Argentina dopo il default.
Bisogna dare atto che il governo Tsipras ha fin qui lottato al limite delle proprie possibilità, ha usato tutte le armi che aveva a disposizione, non ha lasciato niente d’intentato, né nulla al caso.
Nel tentativo di rompere l’accerchiamento il governo greco le ha provate davvero tutte: ha cercato alleanze e sponde con il governo italiano di Renzi, il quale gli ha ignobilmente chiuso la porta in faccia, ha cercato inutilmente incontri e accordi bilaterali con i vari Stati europei, ha strizzato l’occhio a Russia e Cina per dare a intendere che era disposto a tutto pur di tutelare il proprio popolo e l’interesse del proprio paese, ha chiesto e ottenuto nuovamente il consenso popolare tramite il referendum.
Bisogna essere realisti: la piccola Grecia, politicamente lasciata del tutto isolata, purtroppo non ce l’ha fatta.
La liquidità delle banche greche è praticamente esaurita, l’economia di Atene si è fermata, la gente è realmente provata e si è compreso che per adesso il paese da solo non ha la forza politica né quella economica e materiale per far cambiare rotta a quest’Europa contraddistinta da austerità, rigore e inconcludente egoismo.
E così fra intraprendere la strada di un sicuro default, con tutto quello che ne consegue, oppure venire a patti con il migliore compromesso possibile, si è optato per quest’ultimo.
Si, è un compromesso, per il quale oltretutto Syriza ha pagato un durissimo prezzo. In Parlamento il governo si è spaccato e il sì al compromesso è passato solo grazie ai voti dell’opposizione. E come in tutti i compromessi c’è sempre un amaro boccone da ingoiare.
Si cedono le armi su diversi punti:
- Da ottobre l’IVA verrà aumentata dal 13 al 23%
- Gli sconti del 30% sull’IVA nelle isole vengono aboliti e saranno mantenuti solo per le isole più remote.
- Le tasse per agricoltori e imprese passeranno dal 26 al 28%.
- Nel settore marittimo verranno aumentate le tasse, eliminata l’agevolazione fiscale e la tassa dei beni di lusso sarà estesa anche alle navi da diporto che superano i 5 metri.
- L’età pensionabile sarà portata a 67 anni entro il 2022.
- Nel settore pubblico gli stipendi saranno ridimensionati entro il 2019, verrà introdotta anche la norma che permetterà di spostare i dipendenti pubblici ad altre mansioni.
- Importanti porti e scali come il Pireo di Atene e il porto di Salonicco verranno privatizzati.
- In previsione anche la vendita degli aeroporti locali e della società pubblica per l’elettricità.
- Uniche note positive, il varo di misure contro la corruzione e per la trasparenza del finanziamento ai partiti, l’attivazione di strumenti per la lotta all’evasione fiscale, l’istituzione di un’agenzia indipendente per il recupero delle tasse non pagate e la spesa militare che sarà ridotta di cento milioni di euro da quest’anno e di duecento milioni nel 2016.
Ma in questo compromesso ci sono cinque elementi di novità assoluta.
Il primo, di fondamentale importanza:Nel precedente accordo proposto dai creditori si chiedevano 8,5 miliardi di sacrifici in cambio della concessione di un nuovo prestito di soli 7,5 miliardi. Niente più che una boccata di ossigeno per tirare a campare per altri quattro, forse cinque mesi al massimo. Soldi che la popolazione non avrebbe nemmeno visto, ma che sarebbero andati solo per rimborsare i prestiti al Fondo Monetario Internazionale e alla BCE.
Con la proposta del governo Tsipras, invece si concederebbero 12 miliardi di sacrifici, in cambio dei quali la Grecia otterrebbe però risorse per 53,5 miliardi di euro, soldi quest’ultimi che verrebbero impiegati per risollevare il paese e la popolazione all’interno di un programma di previsione triennale. Quello con cui Syriza è stato eletto. Soldi e pianificazione con i quali Tsipras conta di attuare riforme ad ampio respiro a vantaggio della popolazione.
Il secondo punto riguarda la richiesta di un pacchetto di aiuti materiali per 35 miliardi destinati al rilancio dell’economia e la garanzia che l’Eurogruppo intervenga per ristrutturare o “neutralizzare” il debito pubblico greco, un intervento inevitabile per rendere la situazione economica greca sostenibile ed evitare che il problema si ripresenti alla porta tra pochi mesi.
Il terzo elemento di novità è il tempo, ovvero la possibilità di attuare le richieste dei creditori in 7 anni, posticipando quelle più traumatiche negli ultimi tre anni del piano di riforme, ovvero tra il 2019 e il 2022. Nel frattempo in questi 4 anni in Europa potrebbero mutare radicalmente molte cose, la politica basata sull’austerità potrebbe lasciare il passo a qualcos’altro di migliore e nel panorama politico potrebbero presentarsi non poche novità, a partire dalla Spagna, dove tra soli 3 mesi alle elezioni potrebbe affermarsi la lista di Podemos, vicinissima alle politiche anti-austerità proposte dalla Grecia.
Insomma, in attesa di dover mettere in pratica dolorose riforme, in un futuro nemmeno troppo remoto l’accerchiamento potrebbe rompersi.
Il quarto punto di novità assoluta è che, pur arrivando a un compromesso, grazie ai greci e alla loro battaglia, per la prima volta è stato lanciato un messaggio forte, chiaramente udito da tutti: “Fermatevi!” Nemmeno la Troika può continuare all’infinito con le proprie politiche despotiche, facendone pagare il costo esclusivamente alle classi più deboli. Prima o poi il prezzo di certe scelte ricade su tutti, anche sulla testa di coloro che finora si sono sentiti intoccabili come fossero semidei…
E’ un messaggio con cui i creditori potranno anche non essere d’accordo, ma che al tempo stesso fa sì che niente potrà essere uguale a prima.
L’ultimo punto, forse il più importante di tutti: è vero che la Grecia allo scopo di salvaguardare la popolazione da conseguenze ben peggiori (almeno nell’immediato) è arrivata a proporre un dignitoso compromesso, ma è altrettanto vero che il fronte compatto, finora rappresentato dai creditori FMI, BCE con tutte le banche e i 28 Stati europei al seguito, non è più così compatto… Chiari segni di cedimento e nervosismo si cominciano ad intravedere all’orizzonte.
Hollande e la Francia cominciano a dare segni d’irrequietezza, in Spagna e in Italia la maggioranza della popolazione ha simpatizzato e tutt’ora simpatizza con il popolo greco, all’interno delle stesse istituzioni economiche si sentono forti scricchiolii, attori economici di principale importanza come il Ministro delle Finanze tedesco Schauble e il Governatore della BCE Draghi la notte scorsa sono arrivati ai ferri corti e a un passo dalla rottura.
In definitiva quello che fino a poco tempo fa sembrava un muro compatto e inattaccabile non è poi così forte come si vorrebbe dare a intendere.
Nonostante il governo greco abbia approvato questo compromesso, a conferma che niente sarà più come prima, nelle ultime ore la situazione si è dimostrata essere in continuo cambiamento e con frequenti mutamenti di fronte. L’accettazione da parte dell’UE al piano proposto dalla Grecia non è per niente scontato. Il rifiuto del piano avanzato da Tsipras non è affatto una possibilità così remota, la qual cosa metterebbe in luce la “qualità” principale di questo gruppo di Eurocialtroni che fingono di essere alla guida d’Europa, ovvero essere fondamentalmente una manica di corrotti, irresponsabili, egoisti.
Per mesi gli accaniti creditori hanno richiesto, per non dire imposto alla Grecia, di accettare riforme dolorose, ma adesso che queste riforme vengono accettate, in cambio però di un piano di salvataggio serio, ecco che i creditori si tirano indietro. Si sfila il Ministro delle Finanze tedesco, sostenendo che in queste condizioni economiche non si può salvare né aiutare lo Stato greco, si sfila Renzi, che da buon “furbetto” dà la colpa di questo delirio economico collettivo all’ultimo arrivato, a Tsipras e al suo governo che sono lì da appena cinque mesi, mentre scriviamo si stanno sfilando anche diversi governi europei che tuttora considerano le regole dell’Unione valide solo quando i sacrifici li debbono fare altri; adesso che si tratta di rimboccarsi le maniche tutti insieme per attuare un piano di salvataggio serio per la Grecia, a tutt’oggi Stato membro dell’Unione, ecco che allora queste stesse regole non vanno più tanto bene.
La novità è che con la questione greca è stata aperta una porta che non sarà facile richiudere. Siamo d’accordo, è una porta stretta che crea incertezza, ansia, per non dire paura, ma che farà entrare finalmente una boccata di aria nuova in questo recinto asfittico chiamato Unione Europea.
E’ una breccia aperta da cui entrano le istanze e le rivendicazioni di giustizia sociale, portate avanti anche a rischio di rompere un’Unione Europea che di fatto ha lavorato a solo vantaggio di banche e interessi economici forti. Un’Europa questa dove finora non si è fatto che parlare di spread, di bilanci, di debito, di borse, di mercato, di rigore, di austerità, di crisi, di privatizzare risorse pubbliche conquistate in anni di dure lotte, di sacrifici e dolorose riforme strutturali.
E ora finalmente grazie alla Grecia siamo tornati a parlare dei popoli, delle persone, dei loro diritti, delle loro aspettative, dei loro bisogni e perché no, delle loro sofferenze. Non è certo poco, visti i tempi che corrono, dove tutto e tutti devono essere ridotti forzatamente a numeri da inquadrare in freddi parametri economici.
Concludo citando una frase di Silvano Agosti che sembra molto appropriata: “Uno non deve mettere i fiorellini alla finestra della cella della quale è prigioniero, perché sennò anche se un giorno la porta sarà aperta lui non vorrà uscire.”