Il caso di Pederobba,Treviso.
Il trasferimento che sta avvenendo (In Italia ed, in genere, in Europa, ma ancor più nel mondo: Giappone, Stati Uniti, innanzitutto) tra la funzione sociale di un luogo e quella economica e consumistica è nettamente a favore della seconda. L’equiparazione tra relazioni sociali e consumi è una scelta ideologica necessaria al sistema capitalistico e purtroppo culturalmente vittoriosa, fino ad ora. Comunque crescono i movimenti popolari di opposizione a queste scelte. Un esempio di mobilitazione popolare e di lotta è quello contro un nuovo centro commerciale a Pederobba, Treviso.
La retorica che lega l’apertura di questi luoghi di consumo di massa, i centri commerciali, all’aumento dei posti di lavoro e va affrontata sotto tre prospettive diverse, seppure strettamente connesse:
- discorso economico
- discorso sociale
- consumo di territorio (importante nel caso di Pederobba, in quanto legato anche all’ apertura di una nuova cava)
L’argomento economico può essere trattato secondo due principali direttive: quella del piccolo commerciante e quella del lavoratore. Non bisogna fermarsi al domani o dopodomani, ma guardare nel lungo periodo gli effetti prodotti da un centro commerciale. Per quanto riguarda i commercianti della zona la risposta è malcontento: la costituzione di una simile struttura popolata esclusivamente da grandi catene di distribuzione significa un colpo molto più duro della semplice presenza accanto ai piccoli commercianti di negozi delle grandi marche: la creazione di un microcosmo del consumo completamente autosufficiente (i centri commerciali possono soddisfare al proprio interno praticamente la domanda di qualsiasi prodotto) non svantaggerà semplicemente il piccolo commercio mettendolo fuori mercato, lo renderà semplicemente invisibile. Anche la presenza di una pluralità di esercizi commerciali, alcuni gestiti da privati altri da grandi marche, ha come risultato un affaticamento della piccola economia a causa del “fascino del brand” e dei prezzi tendenzialmente più bassi garantiti da una produzione e distribuzione in larga scala. I negozi di marca sono però sparsi in un’area relativamente vasta e quindi il piccolo commercio mantiene una visibilità, seppur con fatica. Il centro commerciale crea per sè un’indipendenza strutturale in quanto nasce con il preciso scopo di poter soddisfare all’interno di sé qualunque bisogno o impulso del consumatore con una infinità di negozi, tutti di grandi marche internazionali. Scava la tomba dei commercianti indipendenti che, già schiacciati dalla crisi economica, non sono in grado di reggere la concorrenza delle multinazionali, le quali al contrario continuano a costruire e ad arricchirsi rendendo sempre più evidente la tendenza all’interno del capitalismo alla proletarizzazione e alla polarizzazione della ricchezza.
I piccoli commercianti costretti a chiudere o comunque a ridimensionare fortemente l’attività non fanno altro che infoltire la massa proletaria. Essi trasformandosi da piccoli proprietari in lavoratori salariati aumentano l’offerta di lavoro e in maniera indiretta ciò va ad inficiare sulla disponibilità lavorativa.
L’aumento dell’offerta di lavoro non verrà assorbito totalmente dal nuovo centro commerciale: ammettiamo, come esercizio teorico, che il centro commerciale crei 50 posti di lavoro e che tutti i negozi della zona di cui parliamo ne creino 100.
I motivi di questa disparità sono due: il centro commerciale è un luogo compatto e organizzato per ospitare molti negozi e quindi risparmia molti posti di lavoro in ruoli che possono essere comuni tra i vari negozi (sicurezza, manutenzione etc); in secondo luogo il centro ha un numero limitato di esercizi che offrono i medesimi prodotti, sicuramente più limitato che un intero quartiere.
Ritornando all’esempio, nel breve periodo vi saranno 150 posti di lavoro, con un incremento del 50%. Nel lungo periodo la tendenza si inverte: la chiusura della maggior parte delle piccole attività (in America, patria del centro commerciale, anche fino all’80%) crea una forte disoccupazione che non può più essere assorbita.
Questa disoccupazione crea infine una competizione a ribasso tra i lavoratori nella speranza di ottenere un impiego. Non ha bisogno di spiegazioni il concetto per il quale quando l’offerta di manodopera supera la domanda i salari e i diritti dei lavoratori scendono.
Questo è un aspetto fondamentale da analizzare: la tematica lavorativa infatti non può esaurirsi alla questione numerica, quantitativa ma deve indagare l’aspetto qualitativo della domanda lavorativa.
I negozi presenti nel centro, con le dovute differenze tra caso e caso, assumono con contratti di lavoro sottopagato, usando diversi escamotage per ridurre la propria spesa in salari. Due esempi valgono su tutti: Zara ed H&M. Il primo marchio è solito richiedere uno stage da 300 euro mensili ai propri commessi prima dell’assunzione, che non si sa quando arriverà; il secondo invece fa largo uso del contratto a chiamata per i propri addetti vendita.
In una guerra fratricida tra chi si asservisce al minor prezzo a una multinazionale come Zara o H&M si infrangono, dunque, le considerazioni di chi sostiene che il centro commerciale creerà posti di lavoro. Vi è, poi anche un discorso sociale, culturale che intreccia l’economico e osserva le relazioni, i discorsi e le scelte ideologiche che si vengono a creare intorno a queste strutture. Alcune periferie vivono oggi situazioni dove i centri di aggregazione, di socializzazione, sono sempre di più i luoghi del consumo, rendendo indistinguibile la differenza tra i due. La relazione che vedeva fondante (fin dalla polis greca) la zona sociale e politica della città (il luogo delle relazioni) rispetto alla zona economica, che gli si costruiva intorno, oggi è invertita: il luogo è prima di tutto del consumo, poi delle relazioni. Nel centro commerciale si lavora, si consuma e si intrattengono relazioni. Il centro commerciale, presentato come luogo neutro, rinnova l’invito al consumo sotto la maschera della piazza in cui si invita alla socialità, nella forma degli uffici dove si crea lavoro. La volontà di far gravitare ogni forma di azione umana di fronte al simbolo del consumo capitalista, di fronte al simbolo della creazione artificiale di bisogni, tradisce il capitalismo quando si presenta come anti-ideologia, quando si presenta come pensiero neutro, quando in realtà aspira a essere un pensiero totale che ingloba e devia verso di sé ogni istanza precedentemente estranea. Allo stesso modo il centro commerciale è un luogo totale che devia entro di sé, dentro le sue mura, istanze (la socialità ad esempio) che al consumo, vero obiettivo del centro commerciale, sono estranee.
A Pederobba, in provincia di Treviso, ai confini con quella di Belluno è in corso un mobilitazione popolare contro l’ apertura di un futuro nuovo centro commerciale di 17 mila metri quadri su un’ area di 68 mila metri quadri. Un caso emblematico delle problematiche sopra esposte. Un caso emblematico delle problematiche esposte, inoltre vi è l’ assurda divorazione di suolo e paesaggio. L’ azione è rivolta anche contro l’aperura di una nuova cava di 143 mila metri quadri. La mobilitazione è diretta dal Comitato spontaneo L’ ARIA CHE VOGLIO, formato da Aria Nova, bene in comune, G.A.M.O. Entrambi i progetti sono della E.Ma.Pri.Ce.S.p.A, società che ha sede a Possagno, un paese vicino a Pederobba.
La protesta ha avuto un momento di maggior mobiltazione in una marcia avvenuta lo scorso 17 giugno che partita da piazza Guarnier a Pederobba è arrivata per vecchie stradine all’ area della futura cava, attravrsando aree a culture diversivicate ecosostenibili, vigneti, una frana, una cava di deposito d’ amianto, il bosco seminaturale dei Ronchi, l’area di allagamento del torrente Curogna. Molti sono stati gli slogan contro il futuro centro commerciale e grande la partecipazione dei cittadini.
Il 15luglio nella sede della provincia di Treviso sono state discusse le osservazioni presentate le osservazioni presentate dalle associazioni che contestano i due progetti relativamente ai due progetti, iper e cava. Significative sono state le Osservazioni del Comitato spontaneo MEETUP PEDEROBBA A 5 STELLE in merito alla realizzazione del nuovo centro commerciale nell’area “EX FUNGHI DEL MONTELLO” lette dal Roberto Dugar e che riporto integralmente:
“ Innanzi tutto si intende sottolineare come i tempi di convocazione di questa pubblica inchiesta siano come al solito estremamente brevi e fissati in orari che non permettono la frequenza di tutte le parti interessate. In riferimento al progetto di costruzione di un centro commerciale nell’area precedentemente utilizzata come “agro-industriale” dell’ex fungaia Funghi del Montello ci chiediamo che beneficio reale ne possa trarre la Comunità, considerando che di fatto esiste già nella adiacente zona industriale, un raggruppamento di esercizi commerciali che soddisfano qualsiasi esigenza di acquisto. Senza contare i numerosi centri commerciali già operativi a pochi chilometri dal sito considerato come quelli di Crocetta e Cornuda. Considerando anche il fatto che la grande distribuzione in Veneto ha sofferto negli ultimi due anni di una flessione nelle vendite di circa il 4%. Ne sono prova i licenziamenti previsti da AUCHAN e da altre major del settore. Cosa accadrebbe se la struttura fallisse nella sua destinazione? Rimarrebbero circa 20000 mq di cemento inutilizzato? Esiste un piano di riconversione dello stabile? Ricordo che il Veneto ha un triste primato: la cementificazione per abitante è mediamente superiore del 20% rispetto alle altre regioni d’Italia, seppur più industrializzate. Se comunque tutto funzionasse i danni agli esercizi commerciali limitrofi potrebbero essere fatali per l’economia del territorio causando impoverimento e calo dell’occupazione in tutta la Pedemontana del Grappa e di certo non porterebbero giovamento al territorio. E questo con ricadute sugli introiti dei Comuni stessi e delle attività collaterali, causando a caduta una “desertificazione” del territorio. Si ricorda inoltre che ben difficilmente un centro commerciale di quelle dimensioni assume in loco i propri dipendenti che oltretutto sono sottoposti ad un alto tasso di turn over. I nostri paesi non sono nati per fare la fine dei dormitori. Inoltre i paragoni nelle contro osservazioni dalla Committente vengono fatti con il Grifone di Bassano o I Giardini del sole di Castelfranco Veneto, paesi ben più consistenti di Pederobba con problematiche di traffico ben diverse. A questo proposito qui si vuole porre una rotonda su di una strada ad alto scorrimento, rallentandone pericolosamente il traffico, oltretutto a circa 50 mt dalla confluenza con la statale Valcavasia. Questo rallentamento di traffico, unito all’affluenza al Centro Commerciale, pregiudicherà in maniera sostanziale la qualità dell’aria, senza tener conto di un piccolo particolare: oggi praticamente tutte le autovetture sono fornite di marmitta catalitica che ha il problema di NON funzionare finchè non raggiunge la temperatura di esercizio (dai 400 ai 900 C°). Quindi tutte le autovetture che sosteranno nel parcheggio del centro commerciale una volta riavviate inquineranno l’area in maniera esponenziale al di là delle più rosee previsioni. Si può sostanzialmente affermare che il danno ambientale sarà senza dubbio enorme anche senza aspettare la più volte prospettata centralina dell’ARPAV. Ricordo che attualmente l’inquinamento dell’aria nella zona di Pederobba è dovuto al 30% ad emissioni veicolari e che la zona è attualmente considerata tra le più inquinate d’Europa insieme con tutta la Val Padana. I rischi per la collettività sono quindi ben superiori ai, praticamente inesistenti, benefici. Quanto sopra in via provvisoria in quanto ci riserviamo ulteriori precisazioni e controdeduzioni in merito a quanto proposto.
A questa dichiarazione andrebbe aggiunto un dettagliato documento del sen. Gianni Girotto: Osservazioni del Sen. Pietro Gianni Girotto e del Meetup PEDEROBBA A 5 STELLE in merito alla “Cava Val Grande con Ricomposizione Ambientale mediante realizzazione di una vasca di laminazione per la messa in sicurezza del Torrente Curogna – ditta E.ma.Price”, che fa a pezzi il progetto della cava.
l’udienza pubblica del 15 luglioieri è stata una mera rilettura delle osservazioni e contro osservazioni. E.ma.Price ha affermato a tutte le osservazioni del Comitato L’aria Che voglio non sono accoglibili. E non poteva essere altrimenti.
Si è ora in attesa delle decisioni della commissione VIA.
Nel frattempo il lavoro di mobilitazione, informazione e pressioni del Comitato L’ Aria Che Voglio continua. La partita è ancora aperta.
Va inoltre preso in considerazione che lo scorso gennaio il Tar ha accolto un ricorso e detto no ad un centro commerciale a Castiglione Torinese
ll nuovo centro commerciale di Castiglione Torinese non nascerà. Il Tar del Piemonte ha accolto il ricorso presentato da cinque cittadini castiglionesi, unitamente all’associazione Pro Natura e fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, i quali puntavano il dito contro la nuova costruzione da oltre 10 mila metri quadrati ritenendola inutile e dannosa dal punto di vista commerciale, occupazionale e con forte impatto ambientale. Di fatto il Tribunale Amministrativo ha annullato alcuni provvedimenti emessi dall’amministrazione comunale del piccolo comune torinese relativi alla Variante numero 6 al Piano Regolatore Generale. Nell’atto di pianificazione territoriale sarebbe venuto meno un passaggio obbligatorio come la Valutazione Ambientale Strategica, “unico modo – spiegano dal Movimento 5 Stelle – per garantire la completezza dell’indagine su significativi effetti sull’ambiente”. La sentenza del Tar rischia di diventare un precedente e di avere un forte impatto sulla normativa regionale e di conseguenza sulla programmazione e pianificazione del territorio regionale e sugli atti futuri che le amministrazioni saranno chiamate ad adottare, chiarendo un aspetto nodale nelle controversie amministrative e cioè l’obbligatorietà di sottoporre a VAS quei piani o programmi che costituiscono un quadro di riferimento per la realizzazione di determinati progetti.
Un esempio anche per il Veneto e per Pederobba.