Nel Programma “En la Oreja Internacional” (“Nella Prima Pagina Internazionale”, ndt) di Radio Pichincha Universal intervistiamo José Carlos Rivadeneyra che fa parte del gruppo di Pressenza della redazione Perù. È comunicatore, giornalista, docente e attivista dei diritti umani in Perù. Le miniere vogliono avanzare e la gente non lo permette. Questo è il punto. Il conflitto tra le miniere e le comunità peruviane ha una storia lunga e triste. Oggi ritorna alla cronaca con le dichiarazioni del presidente Ollanta Humala, che ha dato il via libera al progetto denominato “Tìa Maria” (Zia Maria, ndt). Le mobilitazioni non si sono fatte aspettare e, purtroppo, nemmeno le repressioni. Per spiegarci quello che sta succedendo e perché sta succedendo, abbiamo qui José Rivadeneyra.
D: Cos’è il progetto “Tía María”, e perché ritorna in primo piano in questo momento in Perù?
JR: Il progetto “Tía María” risponde all’intento che è stato sviluppato dall’azienda Southern Perù Copper Corporation. Si è combattuto per ottenere il progetto dal 2003 e adesso, dopo la una fase di sfruttamento, si cerca di iniziare una fase estrattiva. Dalla sua pianificazione, il progetto è stato rifiutato dalla popolazione e, negli anni, al governo sono state facilitate ulteriormente le cose. In questo momento siamo in mezzo a un grave conflitto sociale e ad una sostenuta disoccupazione regionale nella zona di Arequipa.
D: Da quanto tempo c’è questa situazione di disoccupazione, Josè? E quali sono le richieste della popolazione contro il progetto? Perché la popolazione non vuole questo progetto? Quali sono le sue ragioni?
JR: Una delle ragioni è che la Southern Perù Copper è stata tenuta molto sotto osservazione in Perù. Come sapete è un’azienda messicana, e a gennaio di quest’anno è finita sotto processo per un grave crimine in materia ambientale. E’ stata chiesta una condanna a due anni di reclusione per il Presidente Esecutivo, e successivamente è stato chiesto un risarcimento civile di un milione di dollari per aver contaminato il mare peruviano. Ma è anche un’azienda che negli anni in cui si è sviluppata la sua attività estrattiva ha preso altre multe. Ad esempio l’OEFA (Organismo di Valutazione e Fiscalizzazione Ambientale) l’ha multata 14 volte per aver avuto un forte impatto ambientale in varie zone del Perù, come Moquegua, Tacna, Apurímac, Arequipa.
Quindi, questa azienda viene tenuta molto sotto osservazione da parte della popolazione, e da qualche giorno è emerso il fatto che ha cercato di comprare i capi che comandavano le azioni di difesa della popolazione di Islay.
D: Ma questo significherebbe che se fosse un’altra impresa la popolazione non protesterebbe? O ci sono altre motivazioni?
JR: Questa è la ragione principale. Voi sapete che il problema in Perù è il modello che abbiamo. Un modello dove il governo, nella sua impossibilità e nella sua farsa (perché spesso ha mentito), ha commissionato alle aziende, e al capitale, lo sviluppo del paese, quindi, essendo il Perù un paese ricco di risorse naturali ed estrattive, sono stati dati incarichi alle aziende che offrono servizi a seconda di dove vogliono collocare il denaro e lo Stato sta avviando il parametro giuridico sviluppando modifiche giuridiche per permettere l’ingresso dei capitali e fare in modo che le attività estrattive apportino più denaro al PIL. C’è tutta una propaganda in cui si dice che l’unico modo in cui il Perù può avanzare è partire dall’attività estrattiva che è quella che porta ricchezza, e questo pensiero è condiviso anche dalla gente. Quindi la gente, da un lato, dice: “Va bene, che avvenga questa inversione di tendenza”, ma dall’altro lato si sta scontrando contro la realtà che è molto concreta e che attenta a tutte le possibilità di sviluppo perché contamina la terra, l’aria, gli alimenti, quindi è come se si stessero aprendo gli occhi e non si stesse più solo dicendo “No” alle imprese, ma si stia dicendo “No” anche a questo modo di portare avanti lo sviluppo del paese.
D: Una questione molto preoccupante è stata (per lo meno da fuori, e suppongo anche per te e per la gente del Perù) la reazione delle autorità di fronte alle mobilitazioni contro la miniera, non solo in questo momento. Da alcuni anni, da quando il popolo peruviano ha cominciato a mobilitarsi, la reazione è sempre stata repressiva. Com’è questa situazione? Qual è la risposta del governo, delle autorità di fronte a quello che si sta vivendo ad Arequipa?
JR: È stato terribile. È stato molto tragico. Da subito, per le proteste sono morti 2 contadini e un poliziotto. Il governo ha reagito militarizzando il conflitto e inviando nella zona 5100 poliziotti, più tutto il contingente militare, e, al suo interno, hanno inserito un gruppo specializzato in interventi terroristici; quindi, la risposta del governo di fronte a tanta esigenza di giustizia e di dialogo è stata militarizzare il conflitto, ma vediamo che tutto ciò non ha risolto nulla.
D: Tu dici che la situazione peggiorerà? Che il confitto si aggraverà ogni giorno di più? Questa è la tua visione al momento?
JR: Certo, perché dimostra inoltre che quello che fa il governo è facilitare l’intervento minerario e per questo rende sicuro il paese, a parte per il fatto di seminare una nuova forma di terrore. Inoltre, anche se non è stato dichiarato lo stato di emergenza, sono intervenuti militarmente. Hanno approvato una nuova modifica rispetto al tipo di intervento estrattivo che viene portato avanti, che consiste in questi parametri che lo Stato adesso esige affinché si portino avanti queste azioni con le quali nuovamente si attenta alla popolazione.
Ti faccio un esempio: prima, per fare in modo che la popolazione decidesse se l’impresa entrava o no, dovevano deciderlo i due terzi della comunità presente. Adesso questo è cambiato e decide solamente la giunta direttiva. Se la giunta direttiva della comunità approva, entra l’impresa.
Altra modifica apportata è stata che prima avevamo una legge che dava all’impresa e alle comunità la stessa priorità, che lo Stato aveva la stessa responsabilità di vigilare, che la relazione tra le due parti fosse concorde, ma in seguito hanno approvato un decreto supremo per permettere che l’impresa avesse maggiori privilegi rispetto alle comunità. Perciò, le valutazioni dell’impatto ambientale oggi non devono essere risolte da organismi internazionali, ma solo dallo Stato.
Ad esempio, all’interno del Progetto Tìa Marìa, un Ufficio di progetti delle Nazioni Unite ha espresso 136 osservazioni per lo studio sull’impatto ambientale della Southern Perù Copper, e che cosa è successo? Che l’anno seguente lo Stato peruviano ha replicato a tutte queste osservazioni. Quando la popolazione ha chiesto perché lo Stato e non lo stesso ufficio che ha fatto queste osservazioni le stesse applicando, lo Stato ha rimosso l’Ufficio delle Nazioni Unite, si è imposto e ha detto che il progetto è corretto e che tutto va avanti.
D: Certo, giustamente, Josè con quello che ci stai raccontando stiamo vedendo come si insedia questa corruzione, questa necessità, in molti casi, dei governi di voler giustificare ad ogni modo queste toppe che possono porre nella società. Giustamente, nel programma precedente abbiamo detto che in Canada una miniera non poteva sfruttare giacimenti di uranio a causa del forte impatto ambientale che ne sarebbe conseguito, e perché la popolazione si opponeva, e abbiamo pensato che questi requisiti che esige il Canada si dovrebbero esigere in tutti gli altri paesi. Non può essere che vengano nel nostro paese per imporci un altro modo di fare affari che ci rovinerà per molte generazioni, ma a volte penso che sia necessario che ci siano governi molto forti che si possano opporre a questi poteri.
JR: Sai cos’ha detto il presidente Humala quando si è insediato? Che l’impresa deve farsene carico. Così dicendo ha trasferito la sua responsabilità, la responsabilità dello Stato, all’impresa, e che è l’impresa che deve dare una risposta. Ma il progetto, nonostante il forte impatto ambientale, si doveva fare. Questa è stata la risposta del presidente trasmessa in televisione a livello nazionale.
D: Bene, si mi sembra che lo Stato dovrebbe poter esigere responsabilità alle imprese e non chiedergliele. Ad ogni modo, qui entriamo in un terreno molto ampio, soggetto a molte interpretazioni e anche a molte letture, ma senza dubbio sembra che la cosa più importante sia denunciare correttamente come si sopraffà la volontà dei popoli in questo senso, non solo da parte delle imprese private, che mi sembra siano le principali responsabili di tutto ciò, ma anche attraverso le forze di sicurezza che reprimono fino a uccidere, e qui sì che è lo stato quello che dovrebbe prendere in mano le redini per dare un altro tipo di risposta.
JR: Bè, fino ad ora ci sono 146 conflitti sociali in Perù e questo è un dato destinato a crescere. Abbiamo diverse rivelazioni e altri segreti, e lo Stato non lo vede.
Inoltre, è accaduto un fatto molto grave che riguarda il tema delle comunicazioni, perché è stato fatto un lavoro di comune accordo con alcuni mezzi di comunicazione che hanno sostenuto questi attentati contro la vita e contro il diritto di protesta. Un’altra cosa: il governo peruviano ha criminalizzato la protesta sociale, quindi all’interno di questa criminalizzazione, a partire da un video che un mezzo di comunicazione indipendente ha registrato, si è riuscito a vedere che un poliziotto ha messo nella mano di un contadino detenuto un’arma appuntita e ha poi alzato la mano come per dire: “Questi sono i terroristi anti miniera” (che è l’appellativo che hanno dato loro). Il giornalista, che appartiene al gruppo che gestisce il 78% dei mezzi di comunicazione scritta nel paese, ha scattato delle foto e il giorno dopo è apparsa l’immagine del contadino con l’arma, e si leggeva che per questo era necessaria l’azione delle forze armate. Con questo argomento hanno giustificato una morte.
Trascrizione: Fernando Torres
Traduzione per Pressenza di Claudia Calderaro