“Perdere una battaglia non vuol dire perdere la guerra”: lo ha detto Bashar al Assad in in un discorso tenuto oggi a Damasco in occasione della ‘Giornata dei martiri’. Per la prima volta il presidente ha ammesso che l’esercito ha subito delle sconfitte, aggiungendo però che la guerra contro i gruppi ribelli non è affatto persa.
“Non stiamo parlando di decine né di centinaia, ma di migliaia di battaglie tra le quali, naturalmente, ci sono delle battute d’arresto, delle vittorie e delle sconfitte” ha detto Bashar.
In poco più di un mese, le forze armate hanno perso il controllo di Idlib e Jisr al Shoughour, due importanti centri nel nord del paese mentre al sud gli insorti hanno conquistato l’ultimo posto di frontiera con la Giordania ancora in mano all’esercito.“Nelle battaglie tutto può cambiare, tranne la fede nei combattenti e nella vittoria. Inoltre, quando ci sono battute d’arresto, la società deve sostenere il morale dell’esercito” ha aggiunto il presidente, chiedendo di mettere “al bando lo spirito di frustrazione e la disperazione dopo una perdita qua e là”.
Senza riconoscere la perdita di Jisr al Shoughour, Assad ha reso omaggio alle forze del regime “sotto assedio dei ribelli in un ospedale del sud della città” assicurando che i rinforzi arriveranno presto. Da due settimane, 150 soldati sono assediati nell’ospedale di Jisr al Shoughour, da combattenti del Fronte Al Nusra, il ramo siriano di Al Qaida e altri gruppi ribelli islamici.
Le recenti sconfitte sul piano militare, oltre alle voci incontrollate di divisioni interne all’establishment, hanno portato alcuni osservatori a ritenere che il regime potrebbe sfaldarsi entro l’estate. In un’intervista al New York Times, alcuni giorni fa Robert Ford, ambasciatore americano in Siria fino al 2014, ha osservato che “l’esercito siriano in questo momento affronta una scarsità senza precedenti di manodopera. Ha subito enormi perdite ed è sempre più difficile procedere a nuovi reclutamenti, dovendosi basare su una parte limitata della popolazione, composta essenzialmente dalle minoranze”.
Una situazione, questa, che avrebbe costretto il governo ad appoggiarsi sempre di più sui suoi alleati nella regione, Iran ed Hezbollah, che a loro volta sostengono il governo di Damasco pur avendo interessi particolari nel conflitto. La decisione sarebbe inoltre all’origine di malumori e di uno scontento crescente nei settori militari del paese.