Preso lo schiaffo da Strasburgo, con la sentenza della Corte europea sulle torture alla scuola Diaz, la Camera sta correndo ad approvare una legge sulla tortura, in modo che sia possibile dire: ecco, abbiamo capito e provveduto in tempi record. In verità si profila una beffa.
Il testo uscito dalla commissione Giustizia è un pasticcio giuridico, un’acrobazia per svuotare la legge dal suo interno. Già nel testo approvato al Senato mancavano i due pilastri tipici di ogni seria legge sulla tortura, pilastri indicati esplicitamente anche nella sentenza della Corte di Strasburgo: la disciplina della tortura come reato proprio del pubblico ufficiale e la non prescrittibilità. Alla Camera il testo è stato ulteriormente peggiorato, quindi non solo la tortura rimane un reato generico con la semplice aggravante per i pubblici ufficiali (aggravante che può essere compensata dalle attenuanti, ad esempio per il fatto d’essere incensurati) e non solo resta la possibilità della prescrizione, ma si è arrivati a dettagliare oltremisura le fattispecie da considerare come tortura: è il modo classico – come sa chiunque abbia un minimo di pratica giuridica – per rendere la norma inapplicabile.
Siamo di fronte a un dispositivo che diverge nettamente dalle indicazioni della Corte di Strasburgo, la quale in futuro – è facile prevederlo, in caso di approvazione di una legge del genere – sarà nuovamente chiamata a intervenire e a censurare l’Italia, come accaduto, per citare una vicenda recente, con il reato di clandestinità. Stiamo insomma assistendo a un paradosso. Nel momento in cui il nostro paese finisce sotto accusa a livello europeo per le “carenze strutturali” nel garantire il rispetto dei diritti fondamentali, si approvano “riforme” che ci allontanano dagli standard internazionali.
Qualcuno sostiene che una brutta legge è meglio di nessuna legge. Non è così, perché stiamo parlando di princìpi basilari della civiltà giuridica e perché le forze dell’ordine hanno bisogno di ricevere un messaggio chiaro e forte dal parlamento sull’urgenza di cambiare radicalmente rotta. Ne hanno bisogno perché hanno dimostrato, dal 2001 in poi, di non essere capaci di autocritica, di non avere strumenti di correzione efficace dei propri errori, palesando al contrario nei processi genovesi una pericolosa attitudine a mentire e ad ostacolare il corso delle inchieste. I vertici delle forze di polizia, spalleggiati dai ministri del momento, anziché agire per individuare e punire i responsabili degli abusi, anziché domandarsi perché alla Diaz e a Bolzaneto centinaia e centinaia di agenti abbiano praticato torture o assistito ai maltrattamenti senza intervenire, hanno agito in direzione opposta, proteggendo i responsabili e ostacolando il corso della giustizia. Il parlamento, di fronte a simili comportamenti, ha scelto di cercare una mediazione con i vertici e i maggiori sindacati di polizia, gli uni e gli altri attestati su posizioni retrograde e corporative e di fatto contrari all’introduzione del reato di tortura.
Approvare una legge difficilmente applicabile e smorzata nella sua carica morale e culturale, è una scelta politica che finirà per indebolire ulteriormente un tessuto democratico già malandato e a questo punto destinato a un’ulteriore involuzione autoritaria.
Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia per Genova