Dura polemica tra il presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman e l’ambasciatore USA a Praga
La decisione del presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman di accettare l’invito del presidente russo Putin a recarsi a Mosca in occasione delle celebrazioni del 70° anniversario della vittoria contro il nazifascismo, è stata l’occasione dell’innesco di una dura polemica con l’amministrazione statunitense che rischia di incrinare seriamente le relazioni tra i due paesi.
Con la solita arroganza che caratterizza l’atteggiamento statunitense nei confronti di chi dà segni di insofferenza nei confronti delle pretese egemoniche dell’imperialismo USA, l’ambasciatore a Praga Andrew Schapiro aveva criticato l’accettazione dell’invito russo da parte di Zeman, come “miope” e “imbarazzante”, dal momento che il presidente ceco sarebbe stato il primo capo di Stato di una nazione dell’Unione Europea a dichiarare di voler essere presente alla parata del 9 maggio a Mosca.
La reazione del presidente ceco non si è fatta attendere. Zeman ha così dichiarando senza mezzi termini, in un’intervista concessa al portale web Parlamentni Listy, che a nessun ambasciatore di altre nazioni sono permesse ingerenze accompagnate da avvertimenti in merito alle sue visite all’estero. “Temo che le porte del Castello di Praga saranno sbarrate all’ambasciatore”. Il Castello di Praga è la sede della residenza presidenziale. Una manifestazione di dignità e orgoglio nazionale che dovrebbe essere d’esempio anche per le nostre massime autorità di governo, che non hanno avuto nemmeno il coraggio di reagire a una sfacciata provocazione del presidente dell’Estonia che è arrivato a definire gli italiani (e i greci) “utili idioti di Putin”
“Non riesco proprio a immaginare che l’ambasciatore ceco a Washington possa lanciare avvertimenti al presidente USA in merito a dove debba viaggiare”, ha aggiunto Zeman, precisando che “non sarà permesso a nessun ambasciatore di interferire in merito ai programmi dei viaggi all’estero presidenziali”.
Sempre nell’intervista, Miloš Zeman ha definito questo intervento USA come uno dei tanti tentativi di isolare la Russia. Per il presidente, al contrario, “è essenziale conservare e sviluppare le relazioni con la Russia non solo sul piano commerciale, ma anche con una partnership strategica nella lotta contro il terrorismo internazionale”.
Zeman, in precedenza, aveva dichiarato che la sua visita in Russia vuole rappresentare anche “un gesto di gratitudine per il fatto che non ci troviamo a dover parlare tedesco nel nostro paese”.
Le frizioni tra i due paesi non sono limitate all’episodio della visita presidenziale a Mosca. Nelle settimane scorse, in previsione dell’arrivo del convoglio militare NATO, con la partecipazione di centinaia di mezzi militari, denominato “Cavalcata del drago”, che, snodandosi dalle Repubbliche Baltiche, si è spinto fino alla Repubblica Ceca, con la manifesta intenzione di rappresentare un minaccioso segnale di sfida nei confronti della Russia, il presidente Zeman non aveva mancato di criticare severamente l’iniziativa voluta in particolare dall’amministrazione di Washington, che è stata anche accompagnata da forti manifestazioni di protesta, animate da gruppi pacifisti e dai militanti del Partito Comunista di Boemia e Moravia.
Il contenzioso apertosi tra le due nazioni accentua l’incrinatura che, dopo il golpe del febbraio 2014 in Ucraina, è venuta manifestandosi tra i paesi ex socialisti oggi appartenenti alla NATO. Mentre le Repubbliche Baltiche (dove l’isteria contro la Russia dilaga anche con la discriminazione delle minoranze etniche e dove si glorifica il nazifascismo e i partiti comunisti sono messi al bando) e la Polonia (con l’opposizione del piccolo partito comunista e di alcuni gruppi informali, ma anche con le riserve dell’opposizione socialdemocratica nel parlamento sono allineate alle posizioni più oltranziste e minacciose nei confronti della Russia, a rimorchio dei “falchi” statunitensi, in altri paesi dell’Europa centro-orientale, le perplessità ad accodarsi alla campagna guerrafondaia della NATO sembrano manifestarsi con frequenza.
E’ quello che avviene in Ungheria, dove incidono le preoccupazioni sulla sorte della minoranza magiara in Ucraina e le strette relazioni commerciali in corso con la Federazione Russa, che hanno inciso nel limitare, almeno parzialmente, le conseguenze della crisi economica che ha colpito con durezza questo paese. E anche in Romania (che pure è fedele alleato degli USA) non sono mancate le reazioni preoccupate per lo stato in cui versa la minoranza romena in Ucraina, minacciata di discriminazioni dalla politica di esasperato nazionalismo attuata dall’attuale dirigenza di Kiev. In Bulgaria, poi, le perplessità ad accodarsi supinamente alla strategia di Washington, sono determinate dall’esistenza di tradizionali legami storici e culturali con la Russia. Segnali che anche il movimento pacifista e le sinistre dell’Europa Occidentale farebbero bene a non sottovalutare.