Tenuto in vita con accanimento terapeutico.
Roma, 31 marzo 2015 – L’industria nucleare ha bisogno di un piano B, anche ripensando ad una sua parziale riconversione nel decommissioning. A distanza di molti anni dalla chiusura delle centrali italiane – e in un contesto di declino dell’industria nucleare a livello mondiale – i governi continuano a negare una reale soluzione per un settore tenuto in vita con ostinato accanimento terapeutico. Eppure è la stessa IAEA a porre la questione già nel 2001, in un quadro geopolitico molto diverso da quello attuale: l’incalzare negli anni delle energie rinnovabili – che hanno soppiantato di gran lunga la produzione fissile – deve rappresentare un monito per tutti noi.
A parlare è il professor Massimo Scalia durante il convegno tenuto ieri a Roma, dal titolo “Deposito nazionale rifiuti radioattivi. A che punto siamo?”.
La situazione di stallo del comparto nucleare era già evidente prima del disastro giapponese di Fukushima. Pensare oggi di rilanciare le attività produttive con nuovi impianti costosi e di lunga realizzazione è anacronistico.
Per quanto riguarda l’Italia si registra un preoccupante ritardo nella definizione dei criteri per la realizzazione del Deposito nazionale delle scorie nucleari. Nel 2011 Sogin ha presentato un piano industriale con un vistoso spostamento in avanti dei tempi previsti per le varie fasi del decommissioning, ricorda Scalia. E non aiuta certo lo scontro di linee tra il Presidente e l’AD di Sogin emerso durante le audizioni al Senato.
In questo quadro è la stessa credibilità della società ad essere messa in discussione. I problemi del decommissioning sono delicati e complessi e non li possiamo lasciare davvero in mano a questa Sogin. Per questo – conclude Scalia – ci impegneremo perché la qualificazione tecnica del sito per il deposito, a carico di Sogin, venga monitorata anche da esperti di fiducia delle popolazioni locali interessate.
Fonte: comunciato stampa di Scanziamo le Scorie