La guerra, l’atto umano più orribile, la cosa più distante dal concetto di bellezza, un vortice che risucchia tutto, annullando ogni principio di dignità, ogni diritto, persino una semplice parvenza di decenza in guerra vengono calpestati e poi dimenticati. Ogni rassicurante gesto della quotidianità, della vita e degli affetti cessa, per lasciar posto ad un inferno che risale oscuro dalle viscere della terra e prender forma in superficie.
In nome della guerra, nei giorni del conflitto nell’ex Jugoslavia, grazie alla complicità dei governi occidentali e grazie anche alla nostra ignavia, si sono compiute atrocità ignobili.
In quei giorni, qualche migliaio di persone marciarono con le insegne della pace e della nonviolenza nel tentativo di richiamare l’attenzione e di risvegliare le coscienze della comunità internazionale su una sporca guerra, combattuta a pochi chilometri dalle nostre coste.
In quei giorni vedemmo coi nostri stessi occhi l’ambiguità dei nostri governi occidentali, vedemmo camion con le insegne dell’ONU che trasportavano armi, consegnandole ad una parte in guerra piuttosto che ad un’altra, in un osceno traffico che è diventato poi il teatro di morte di centinaia di migliaia di persone.
Fummo costretti a nascondere le medicine che avevamo portato in aiuto alla gente jugoslava; nascondevamo le medicine sotto i viveri per paura che i caschi blu ce le potessero trovare e requisire per poi vendersele, a caro prezzo, alla popolazione disperata, al mercato nero.
Sempre in quei giorni, sono diventate storia le dichiarazioni della Farnesina che invece che dare supporto alla marcia della pace ci terrorizzava in tutti i modi possibili.
E la NATO, che fino a quel momento era rimasta ad assistere cinicamente al massacro e a rifornire d’armi le popolazioni in guerra, improvvisamente, negli stessi giorni in cui eravamo presenti, decise di effettuare un bombardamento proprio nelle zone dove avremmo dovuto passare.
A Mostar, teatro di guerra fra musulmani e cristiani, un clima surreale, un paesaggio trasfigurato, le case sventrate, le pareti delle abitazioni crivellate di colpi, donne e bambini che piangevano sulla soglia di una porta di quella che una volta si poteva chiamare casa; in sottofondo i colpi di Kalashnikov, un uomo con due moncherini al posto delle gambe, appoggiato a una parete mentre vagava con la mente perso nel suo mondo di ricordi fatto di orrore. Non molto lontano sparsi qua e la piccoli cimiteri improvvisati con artigianali croci di legno, l’odore acre del fumo, i caccia bombardieri NATO che passavano sopra le nostre teste, in lontananza, il sordo e costante rumore delle esplosioni delle batterie di missili.
Questa è la storia della marcia della pace ai margini della guerra, raccontata forse in un modo persino troppo poetico, una storia che compassionevolmente ci ha risparmiato immagini e ricordi ben peggiori.
A distanza di venti anni, nulla è stato fatto per prevenire altri massacri d’innocenti, per prevenire altre guerre; anzi le istituzioni e i governi hanno lavorato e lavorano tuttora per gettare le basi per nuove guerre, nuovi odi, nuove paure, ma soprattutto si sono mossi per creare sempre nuovi nemici contro cui combattere.
Si è lavorato molto per mettere ancora una volta la gente contro la gente, il povero in guerra col povero, il cristiano contro il musulmano e c’è un grande impegno per seminare diffidenza, paura del diverso e confusione.
Per questo vorrei ricordare le parole che furono dette allora da Don Albino Bizzotto e a seguire dal portavoce della marcia.
“Dobbiamo cambiare velocemente queste istituzioni internazionali che hanno molto del burocratico e sono legati ai vecchi schemi della forza e che purtroppo preferiscono…. trattano meglio le merci delle persone. E’ arrivato il momento non solo di chiedere aiuto ma di pretendere che i nostri governi e che la comunità internazionale si assumano la responsabilità, che siano garantiti i nostri diritti umani elementari. Noi non accettiamo che vengano difese le merci, che vengano portate le merci incolumi e le persone portatrici di pace non abbiano la possibilità e il diritto di passare.”
“Violazione dei diritti umani, assenza delle più elementari regole della convivenza, esodo disperato delle popolazioni che s’incrociano, uccisioni e massacri indiscriminati, consumati nell’indifferenza mascherata solo da apparente compassione dell’opinione pubblica, con una presenza delle organizzazioni internazionali che non va oltre la semplice assistenza, questo è il desolante panorama che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Siamo venuti in pace per testimoniare personalmente e porre alla coscienza delle donne e degli uomini e di tutte le istituzioni, la storia di queste genti che vengono spogliate della loro dignità e spinte verso un tragico destino. Non è più tollerabile che la comunità internazionale lasci il destino dei popoli nella mani di pochi irresponsabili. Siamo sicuri che questo nostro gesto interpreti i desideri le volontà e l’impegno di gran parte dell’umanità che è stanca di vedere i diritti fondamentali dell’uomo solo affermati e non realizzati. Ora urge dentro di noi un appello alla comunità internazionale di uscire da questa sostanziale impotenza di fronte a questa tragedia. “
Da quelle parole e da quei giorni sono passati oltre venti anni, questo è il video che ne racconta la storia, una storia di una marcia nonviolenta fatta da persone comuni per cercare di fermare una guerra.
Nel frattempo, niente è cambiato nelle istituzioni, né nell’atteggiamento dei governi il cui comportamento verso la guerra è ancora più ambiguo. E’ per questo che in questi giorni, in cui si fa un gran parlare di guerra, di divisioni, di differenze, è ora che bisogna ricordare cos’è realmente una guerra, tenere a mente chi la subisce e chi nascosto dietro ad ambigue parole la fa.
Ricordare come da sempre a un certo punto nella storia, una crisi come quella attuale è improvvisamente comparsa, togliendo soldi e risorse alla gente per impiegarli in una nuova corsa agli armamenti; ricordare la similitudine di un periodo come quello attuale con altri che hanno anticipato le guerre: periodi in cui ieri come oggi si soffia sempre più forte sulla paura e sulle diversità dell’altro.
La tecnica è sempre quella, prima si prepara il terreno, addormentando coscienze, facendo leva su paure e sentimenti di odio, amplificando le differenze e sostenendo tesi sulla necessarietà di una guerra per stare tutti più sicuri e dopo vivere meglio…
Teniamo bene a mente che la guerra fin dalla notte dei tempi è stata sempre e soltanto a senso unico, i ricchi la preparano, i poveri la combattono, la subiscono e ne pagano il prezzo. Un massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono ma non si massacrano.
La guerra in definitiva è l’assenza totale di bellezza, la sospensione della vita per come noi la conosciamo e la vita è troppo breve e preziosa per sprecarla a farci la guerra.