Ricorre l’11 marzo l’anniversario del disastro di Fukushima.
Che la memoria di quella catastrofe, e delle altre analoghe, ci accompagni e ci persuada ad agire sempre nel rispetto del diritto alla vita di tutti gli esseri umani presenti e venturi, come dell’intero mondo vivente.
Da quella tragedia, e da innumerevoli altre, ci giunga incessante il monito ad esercitare sempre la nostra responsabilità, a saper considerare sempre le conseguenze e le implicazioni delle nostre azioni come delle nostre omissioni, a saper essere e quindi voler essere persone coscienti che vi è una sola umanità in un unico mondo vivente casa comune dell’umanità intera, e che ogni singola persona – io, tu, tutti – reca intero il compito di salvare le vite, di operare per il bene comune; di osservare l’antico brocardo “neminem laedere”: non fare del male a nessuno, ed il forse meno antico ma ora non meno cruciale “in dubio, contra projectum”: se hai il dubbio che un’azione possa avere conseguenze negative astieniti dal compierla.
Ci illumini e ci guidi la massima aurea: “agisci nei confronti degli altri così come vorresti che gli altri agissero verso di te”; prenditi cura delle persone, degli altri esseri viventi, della natura di cui sei tu stesso parte.
Dal ricordo della tragedia di Fukushima, e di tutte le altre tragedie dell’umanità, scaturisca in noi la piena intellezione, il retto intendimento del nostro comune destino, la volontà buona, il dovere condiviso e ineludibile di operare sempre e solo per salvare le vite, per rispettare e promuovere la vita, la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani, dell’intero mondo vivente.
E quindi, ancora una volta, proseguiamo nell’azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni; in difesa ad un tempo dell’umanità e della natura, della biosfera di cui l’umanità stessa è parte, la cui devastazione e distruzione devasta e distrugge la civiltà umana, le vite delle generazioni future, la nostra stessa esistenza, il senso e lo sforzo delle generazioni che ci hanno preceduto e che ci hanno consegnato questo legato, questo compito: che l’umanità non sia estinta, che l’umanità non sia per sempre infelice.
Chiamiamo nonviolenza questa consapevolezza.
Chiamiamo nonviolenza questo compito.
Chiamiamo nonviolenza l’impegno comune di tutti gli esseri umani per la liberazione comune.
Chiamiamo nonviolenza l’impegno comune perché il mondo resti vivente e vivibile.
Chiamiamo nonviolenza la nostra responsabilità, che è anche la nostra speranza ed il senso del nostro consistere.
Chiamiamo nonviolenza la societas, la civilitas dell’umanità giunta alla comprensione di sé e del suo essere nel mondo.