“L’economia buona” è un saggio delizioso, diretto e coinvolgente che affronta il tabù dell’origine del denaro e alcune ipotesi sugli scenari economici futuri (Emanuele Campiglio, Bruno Mondadori, 2012, 172 pagine, euro 14).
Emanuele Campiglio è un talento italiano che ha deciso di approfondire gli studi economici a Londra, la patria europea del potere finanziario. Lo studio dei processi di creazione e di circolazione del denaro è molto utile per progettare una nuova economia meno instabile e meno dipendente dalla finanza. Infatti l’economia positiva del futuro dovrebbe essere equilibrata, sostenibile e gestita all’insegna dell’efficienza e del bene comune (www.happyplanetindex.org).
Il libro è una vera miniera di conoscenze e secondo Campiglio e altri economisti, le teorie neoclassiche possono avere una buona validità per quanto riguarda la microeconomia, ma una scarsa corrispondenza con la complessità dei fenomeni macroeconomici. Una cosa è verificare i comportamenti individuali e imprenditoriali, mentre risulta molto più impegnativo studiare le relazioni tra inflazione, disoccupazione, investimenti, strumenti finanziari, consumi, risparmio, ecc.
Purtroppo le istituzioni accademiche sono basate sull’insegnamento quasi esclusivo delle teorie liberiste più o meno rigide. Il premio Nobel Joseph Stiglitz, che è stato un esponente della teoria neoclassica, ha affermato: “Il fatto che tali modelli (neoclassici) abbiano prevalso, specialmente nelle scuole di dottorato americane, nonostante l’evidenza empirica contraria, è la prova di un trionfo dell’ideologia sulla scienza”. Ed è la prova del potere dei grandi finanziamenti privati che disturba la libera circolazione delle idee e la vera libertà di pensiero all’interno delle università.
Mark Twain affermò che “Ci sono tre tipi di menzogne: le bugie, le bugie spudorate e le statistiche”. Oggigiorno possiamo afferma che la menzogna più assurda è questa frase dei politici: “Non ci sono più soldi”. Le banche centrali privatizzate creano continuamente denaro a nome dello Stato, e lo rivendono allo Stato, e lo forniscono a tutte le banche e alle società finanziarie che possono guadagnare tanti soldi senza rischiare niente lucrando sugli interessi.
Successivamente questi soldi vengono messi in circolo per foraggiare i giochetti d’azzardo dei banchieri multimilionari che speculano sulle rendite. Inoltre i mutui e i finanziamenti a privati e a imprese rappresentano la quasi totalità della moneta “circolante”: in Occidente “le banconote stampate dalla Banca centrale costituiscono in media solo il 3 per cento dell’ammontare di moneta in circolazione; tutto il resto è formato da denaro creato da banche private” (Ryan-Collins e altri, 2012).
In questo modo la ricchezza tende a concentrarsi sempre di più nelle mani dei superricchi e secondo molti studiosi la proliferazione e la rivendita di titoli derivati è un modo mascherato e illegittimo di produzione di moneta, utilizzato delle grandi multinazionali dell’industria finanziaria. La moneta delle grandi banche d’affari è una forma di moneta cattiva, piramidale e parassitaria, che si nutre della moneta buona prodotta nell’economia reale.
Quindi per essere sicuri di non essere parassitati da un sistema difettoso l’unica soluzione è quella di evitare l’acquisto dei titoli derivati emessi dai cinque principali gruppi bancari internazionali. A chi ha già acquistato questi titoli, consiglio di rivolgersi a un buon avvocato specializzato per sterilizzare il prima possibile questo genere di contratti. Nelle micro clausole allegate ai contratti vengono elencate le formule matematiche truffaldine che hanno ingannato molte amministrazioni private e pubbliche (Comuni e Regioni). Del resto nel mondo anglosassone i derivati non possono essere acquistati dalle amministrazioni pubbliche.
Forse il monopolio pseudo statalizzato e molto privatizzato della moneta andrebbe ridimensionato in un duopolio: i privati che creano moneta per le imprese e le società finanziarie e lo stato che crea moneta senza tasso di interesse da fornire a tutti cittadini a partire dalla maggiore età. In tal modo si favorirebbero i consumi generali e culturali e la formazione professionale e universitaria. In ogni caso per arrivare ad un vero cambiamento occorre una rivoluzione dall’alto: sono gli accademici e i burocrati finanziari che devono capire che questo sistema monetario è oramai troppo anziano e non riesce a stare al passo con la gigantesca e strabiliante economia globalizzata che deve alimentare e movimentare più di sette miliardi di persone.
Però le maggiori riviste economiche accademiche accettano quasi sempre i “lavori basati sulla teoria neoclassica, confinando le analisi alternative a giornali di minor prestigio. Ciò crea un circolo vizioso, poiché ricercatori e professori vengono assunti soprattutto in base alle pubblicazioni e un economista neoclassico avrà più chance di insegnare a nuovi studenti rispetto a chi ha deciso di adottare un approccio eterodosso” (p. 18). Quindi risulta impossibile realizzare una visione a 360 gradi dell’economia. Anzi, gli economisti liberisti pretendono di realizzare delle analisi attendibili lavorando solamente su modelli standard, “progettati per analizzare i periodi di prosperità” (Ben Bernanke, governatore della Federal Reserve, 2010); modelli che “non includono né il settore bancario né il denaro” (Steve Ken, economista australiano, www.debtdeflation.com/blogs).
L’attuale crisi economica deriva principalmente dal sistema di creazione della moneta tramite il credito-debito. L’attuale sistema monetario andrebbe compensato con un nuovo sistema monetario più equo, equilibrato e liberale, basato anche su monete nazionali a costo zero, che non producono interessi e che non incentivano le speculazioni. Comunque ogni forma di potere illimitata è responsabile di fenomeni illegittimi e dannosi per la quasi totalità della popolazione. La monopolizzazione dell’emissione della moneta da parte di banche centrali privatizzate può essere considerata come un abuso di potere burocratico e incostituzionale, attuato con l’approvazione impropria da parte di molti governi (American Monetary Institute, www.monetary.org; Stephen Zarlenga, “The Lost Science of Money”, 2002).
Buona parte dei banchieri, dei manager, dei politici, dei lavoratori e dei consumatori non hanno una visione chiara dei vantaggi generali a medio e lungo termine. Sono tutti troppo concentrati sul presente. In realtà gli “esseri umani sbagliano, non programmano, si fanno ingannare, seguono il comportamento della massa e si lasciano trascinare dalle emozioni, compiendo a volte scelte che hanno effetti negativi per loro stessi e per la società nel suo insieme” (p. 115).
Per sintetizzare l’approccio di Emanuele Campiglio, riporto una sua citazione di Keynes: “Idee, conoscenza, scienza, ospitalità, viaggi – queste sono cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma lasciate che i beni siano prodotti localmente ogni qualvolta ciò sia ragionevole e conveniente e, soprattutto, lasciare che la finanza sia principalmente nazionale” (1933).
Keynes era uno studioso eclettico e saggio, e ragionando sulla crisi del ’29 affermò: “Quando l’accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, è probabile che le cose vadano male” (1936). A volte gli affari finanziari finiscono male e “Se una società libera non riesce ad aiutare i molti che sono poveri, non riuscirà mai a salvare i pochi che sono ricchi” (John F. Kennedy, “Discorso di insediamento alla presidenza”, 20 gennaio 1961).
Emanuele Campiglio ha maturato una collaborazione alla New Economics Foundation (www.neweconomics.org) di Londra e si sta perfezionando alla London School of Economics and Political Science (www.lse.ac.uk). I suoi studi riguardano varie tematiche: la sostenibilità, la teoria della crescita, il funzionamento del sistema bancario, il benessere e la valutazione del progresso.
Approfondimenti – Segnalo un dibattito con Emanuele Campiglio al Festival della Felicità del 2012: https://www.youtube.com/watch?v=J18hpxXzn6c (fine maggio). Infine consiglio un sito dove si approfondiscono le cause della povertà: www.whypoverty.net.