“Il caso Wilson” è un ottimo saggio storico e psicoanalitico creato dal dialogo delle menti di Sigmund Freud e William Christian Bullitt (www.cronopio.it, Napoli, 2014, 286 pagine, euro 19).
Freud si interessò al presidente Wilson quando scoprì che erano nati nello stesso anno e nel libro ha riconosciuto l’antipatia provata nel confronti del Presidente americano, soprattutto perché venne a sapere che liquidò il principale politico che lo aveva appoggiato con queste parole: “Dio ha ordinato che io fossi Presidente degli Stati Uniti. Né voi né alcun altro mortale avrebbe potuto impedirlo” (si trattava del presidente del Comitato Nazionale del Partito Democratico).
A causa delle problematiche di attribuzione filologica la pubblicazione è stata molto bistrattata e quasi dimenticata a livello accademico. Woodrow Wilson aveva una personalità molto complessa e contraddittoria e cambiava spesso opinione. Ma Wilson aveva ragione a ritenere ingiusti gli accordi di pace relativi alla Prima Guerra Mondiale e fu il grande promotore della Società delle Nazioni. Grazie a questa grande iniziativa vinse il premio Nobel per la Pace nel 1919. La Società delle Nazioni aveva molti limiti e cessò di esistere nel 1946, dopo che fu fondata l’attuale ONU nel 1945 (conviene ricordare che gli Stati Uniti non avevano aderito alla Società delle Nazioni).
Oltre alla difficoltà di capire l’entità dei contributi di Freud all’opera (in ogni caso il “curatore” principale è Bullitt), le resistenze sono da attribuire a due fattori principali. Esistono delle relazioni problematiche tra la ricerca storica e i concetti psicoanalitici, e “così come non è garantito che esista un senso ultimo della Storia, nemmeno è garantito che il luogo del Potere sia abitato da individui superiori… o che la scienza della Storia sia immune dalle piccole commedie e dai grandi malanni di uomini al tempo stesso grandi e piccoli, spinti sulla vetta della piramide sociale da dinamiche opache e impercettibili” (p. 29). Leader a volte aiutati dalla fortuna, il più delle volte trascinati da una catena incrociata di scambi di favori e di poltrone, e da inganni più grandi di loro.
Per lo studioso Davide Tarizzo “la convinzione che l’inconscio non possa mentire (o che la verità non abbia di per sé una struttura di finzione, come avrebbe detto Lacan) è la traccia di un limite teorico del padre della psicoanalisi… imposto dal sua fantasma. È da questa zona buia nascosta nei recessi della mente di Freud, il maestro claudicante del disinganno, che proviene probabilmente in parte il suo indomabile [e rielaborato] fastidio per il Presidente Wilson, il mago indiscutibile dell’autoinganno” (p. 15). Infatti “potrebbe sembrare ipocrisia, ma non è così… Egli aveva un’enorme capacità di ignorare i fatti e un’assoluta fede nelle parole. La sua attitudine verso i fatti e le parole era esattamente l’opposto di quella di uno scienziato” (Bullitt e Freud, p. 199).
Naturalmente Freud riconosce in Wilson le doti del capo carismatico che eccita le folle, anche a livello internazionale, ma “Non era necessario che la quantità assoluta o l’ammontare complessivo della libido [il desiderio e l’energia psichica] a sua disposizione fosse superiore alla media per scatenare nei suoi accoliti sentimenti simili a quelli suscitati dal padre dell’orda [la tribù primitiva]. Bastava che fosse abnorme, o decisamente superiore alla media, la quantità di libido concentrata in certi snodi del suo “carattere”, come dice Freud” (p. 27).
Infine chiudo con le parole usate da Bullitt nella prefazione, che definiscono benissimo Freud: era uno studioso che ha scritto tutto quello che desiderava scrivere, “un uomo dalla spietata integrità intellettuale”. Quindi “La verità era la sua passione” (sono le stesse parole che usava Lacan per descrivere Freud).
Freud nacque nel 1856 in una cittadina dell’Impero austriaco, che oggi si trova in Repubblica Ceca. Si laureò in medicina e si specializzò in neurologia. Scoprì l’influenza e la complessità della mente inconscia e fondò la Psicoanalisi, nata ufficialmente nel 1900 con la pubblicazione del saggio “L’interpretazione dei sogni” (in realtà pubblicato in tedesco nel 1899). Morì a Londra nel 1939.
William Christian Bullitt è stato un importante diplomatico americano. Nel 1932 diventò primo Ambasciatore americano a Mosca. Nel 1936 diventò Ambasciatore a Parigi. Durante l’invasione nazista del 1940 ricoprì il ruolo di sindaco di Parigi per breve tempo. Morì in Francia nel 1967.
Thomas Woodrow Wilson nacque nel 1856 e morì nel 1924. Ricoprì la carica di presidente degli Stati Uniti dal 4 marzo 1913 al 4 marzo 1921. Prima di diventare presidente degli Stati Uniti ricoprì la carica di governatore del New Jersey e di presidente dell’Università di Princeton. Quasi alla fine degli incontri relativi alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 Wilson fu colpito da una trombosi e rimase semiparalizzato. Per Freud e Bullitt lo studio del caso Wilson terminò il 25 settembre 1919.
Nota – John Maynard Keynes considerava Wilson “un uomo malato, impreparato, visibilmente disturbato, manipolabile, incapace di tener fede alle sue promesse e tener testa agli interlocutori” durante le trattative per la pace e la stipula dell’infelice Trattato di Versailles del 1919.
Nota su Freud – Freud contribuì al libro per essere fedele alla lunga amicizia con Bullitt, e perché non era soddisfatto dei suoi studi su Leonardo e Michelangelo, basati su pochi elementi reali. Riteneva molto più utile approfondire lo studio di un grande personaggio contemporaneo.
Nota psicoanalitica – In un approccio teorico psicoanalitico le reazioni del corpo e della mente dell’analista vengono elaborate seguendo un “principio di indeterminazione rovesciato: non soltanto l’osservatore esercita un’influenza sull’osservato, ma anche l’osservato esercita un’influenza sull’osservatore. Si chiama – trivialmente – controtransfert” (Tarizzo).
Nota sul presidente Wilson – Il padre di Wilson fu la figura centrale del presidente: da ragazzo correva dal padre per affrontare ogni dubbio e “anche dopo i quarant’anni, Woodrow Wilson non prendeva mai una singola decisione importante senza chiedere prima consiglio al padre” (p. 49). I suoi studi furono dilungati dai malanni fisici e mentali e “la sua carriera da avvocato è presto raccontata: non ebbe mai un cliente”. A causa del suo abbigliamento e del suo modo di parlare veniva spesso scambiato per un sacerdote (il padre era un pastore presbiteriano).