Pubblichiamo l’intervista concessa il 28 febbraio 2015 da Vittorio Angoletto a Rossella Verga del Corriere della Sera.
Poteva essere “un’opportunità unica, ma è stata buttata via”. Parlare di bocciatura per l’ex europarlamentare Vittorio Agnoletto, 56 anni, medico e docente di Globalizzazione e politiche della salute alla facoltà di Scienze politiche della Statale, è quasi un eufemismo.
Expo 2015 è una sorta di fiera delle vanità che di nobile avrebbe solo il titolo. Un evento sul quale le istituzioni, senza distinzione tra locali e nazionali, hanno rinunciato al loro ruolo, «cedendo tutto lo spazio alle multinazionali» che fanno il bello e il cattivo tempo.
Con il premier, Matteo Renzi, colpevole di aver lasciato senza risposta (“ed è grave”) la lettera aperta di scienziati e intellettuali scesi in campo affinché «Expo non diventi la vetrina dell’ingiustizia». Non solo.
“Renzi ha sottoscritto la Carta Milano – rincara Agnoletto – un protocollo mondiale sul cibo la cui regia è stata affidata alla Fondazione Barilla senza condivisione con i governi e con le organizzazioni internazionali che si occupano di questi temi. Il protocollo è stato scritto in sostanza da un’industria privata, cosa mai successa. Non parla di sovranità alimentare, di filiera corta. Non dice nulla sugli Ogm. Tace sui sussidi dell’Unione Europea alle grandi multinazionali che causano la distruzione dell’agricoltura nel sud del mondo e costringono ogni anno alla chiusura molte aziende agricole monofamiliare”. Anche per questo Agnoletto, nel giorno della firma della Carta Milano, il 7 febbraio scorso, ha lanciato a Palazzo Marino il contro-evento, con il collettivo “CostituzioneBeniComuni”: «Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali?». Titolo che dice tutto.
Non ne esce bene nemmeno la giunta comunale. Il sindaco, Giuliano Pisapia, è responsabile secondo Agnoletto di aver lasciato la partita in mano ad altri, senza provare a trasformare l’Esposizione in un’occasione per far sentire nel mondo la voce di Milano sul tema cruciale dell’alimentazione e senza cercare di lanciare un’idea di futuro della città. “È possibile – si chiede il professore – che la giunta non abbia una sua idea di cosa fare in quegli spazi?”.
Ma per Agnoletto, tra le personalità più in vista del movimento no-global, il peccato di Expo è originario. “A discutere dei temi della sovranità alimentare, della fame nel mondo e del diritto alla terra sono le multinazionali dell’alimentazione – ribadisce – le quali sono la causa dei problemi e non la soluzione”. Si parlerà per sei mesi di “Nutrire il pianeta, un tema che affronta uno degli aspetti più drammatici del mondo”. Eppure, il nodo centrale, denuncia ancora, non sarà quello di capire come mai (e di chi sono le responsabilità) nel pianeta si produce cibo sufficiente a nutrire 12 miliardi di persone, ”mentre nel mondo ce ne sono meno di 7 miliardi, ma un miliardo soffre la fame e 800 mila persone soffrono di patologie legate a malnutrizione o cattiva alimentazione”.
Expo, invece, diventerà la “vetrina delle multinazionali”. “Che senso ha dire che San Pellegrino è l’acqua di Expo – dice – quando a Milano abbiamo un’acqua dell’acquedotto buonissima? L’Esposizione dovrebbe pubblicizzare l’acqua Milano”.
Il business per Agnoletto ha preso il sopravvento sui buoni propositi. “Ero contrario fin dal principio all’evento – ricorda – perché temevo quello che è accaduto. Grandi infiltrazioni dei poteri criminali, consumo del territorio, vetrina delle multinazionali. Ma visto che la giunta comunale si è trovata a dover realizzare l’Esposizione, almeno si poteva fare in maniera diversa. Mi è chiarissimo che le grandi scelte le fa Expo Spa, ma tutto nasce con il contributo delle istituzioni locali, che hanno perso l’occasione di far diventare Milano la capitale della discussione su questi problemi”. Perché non è accaduto? Agnoletto s’interroga ma una risposta non la trova. “Per mancanza di coraggio? Per mancanza di conoscenza dei temi? Non so quale sia il motivo meno grave. Ma il risultato è una follia”.