Di Anna Toro – 19 febbraio 2015
“Vogliamo esprimervi una sensazione che stiamo vivendo in questo periodo, la sensazione si chiama paura. Sì paura, perché sono giorni, forse oramai mesi, che tv e giornali ci bombardano con messaggi che sostanzialmente dicono: “i Rom e i Sinti rubano, sono tutti delinquenti, vogliono vivere ai margini della società in baracche fatiscenti, non vogliono lavorare e nessuno di loro vuole studiare, ecc.”
Così comincia la lettera aperta di un gruppo di ragazze e ragazzi, Rom e Sinti indirizzata soprattutto agli operatori dei media, colpevoli di veicolare, attraverso articoli e servizi, i soliti pregiudizi che fomentano l’odio verso quella che è probabilmente la minoranza più esclusa e discriminata nel nostro paese. I firmatari (qui il testo integrale) sono tutti giovani tra i 17 e i 33 anni che si sono stancati di fare da capro espiatorio di un’informazione basata sul sensazionalismo e l’emotività, e che temono che prima o poi si arrivi ad un punto di non ritorno. “Il nostro pensiero va a tutti quei bambini che direttamente o indirettamente assimilano concetti senza alcun filtro, tramite i vari talk show, programmi d’intrattenimento e tg, che quotidianamente accompagnano alcuni momenti della giornata dei nostri figli – scrivono –. La paura è che questi ragazzi, e alcune persone per bene, gradualmente assimilino questi gravi concetti e che da un semplice pregiudizio cresca nel cuore della gente l’odio. Questo è un fatto grave, che non deve succedere, sarebbe da irresponsabili non fermarlo”.
Una paura (parola che ricorre molto spesso nella lettera) di certo giustificata, e quando parlano di mesi i ragazzi sono anche troppo generosi: sono “anni” invece, che un’enorme quantità di materiale giornalistico, soprattutto di cronaca, viene pubblicata senza alcuna cura delle regole deontologiche della professione che imporrebbero come minimo la verifica delle informazioni e delle fonti. Da qui all’azione vera e propria di violenza e rappresaglia, l’esperienza ci insegna, il passo è breve (si pensi all’episodio del campo delle Vallette di Torino, bruciato per una falsa accusa di stupro). Un atteggiamento veicolato in buona parte da amministratori e politici, con la Lega in prima fila, che i giornali spesso si limitano a citare senza filtro, servendosi di dati e cifre palesemente errati e manipolati per i propri interessi elettorali e di consenso. E poi c’è il web, in cui queste notizie false diventano virali, replicandosi all’infinito senza alcun accertamento, e finendo per diventare reali nell’immaginario collettivo. Lo dimostra anche l’altissimo numero di commenti in cui a farla da padrone è il solito hate speech: parole che trasudano una violenza, una volgarità e un odio viscerale che riempiono di sgomento, e in cui a volte compaiono addirittura riferimenti a Hitler e ai forni crematori.
Se è vero che in rete è l’estremismo a figurare come il più attivo e presente – e quindi probabilmente non va preso come una fotografia fedele del paese – sembra comunque che gli italiani siano diventati sempre più tolleranti verso le manifestazioni di razzismo, anche violento, rispetto al passato. Secondo il “Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia”, presentato a inizio mese dall’associazione Lunaria, gli atti di razzismo (verbali e fisici) sono passati da 156 nel 2011 a 998 nel 2014. Inutile dire che, tra i gruppi bersaglio delle violenze, i rom guadagnano il primi posto, con un trend di crescita preoccupante: da 11 casi nel 2011 a 171 nel 2014. Il problema è che, per quanto riguarda i rom, l’atteggiamento è praticamente bipartisan. Per i rom, infatti, vale sempre quella frase terribile “Io non sono razzista, ma…”. Eppure, quante delle affermazioni citate dai ragazzi all’inizio della lettera sono frutto di una generalizzazione che per l’atteggiamento di alcuni coinvolge un intero popolo? Ancora, quante sono frutto di anni di politiche di discriminazione e segregazione messe in campo dalle nostre istituzioni, con i soldi pubblici, senza nessun altro fine che il lucro di alcuni? L’inchiesta di Mafia Capitale ha portato alla luce fatti che alle associazioni erano ben noti da tempo, basta leggere i report, le inchieste sui “campi” e le continue denunce sugli sprechi della cosiddetta “emergenza rom” che sono uscite in questi anni.
Da lungo tempo le associazioni come 21 Luglio cercano di far passare anche sui media queste notizie, senza dimenticare che la via per il cambiamento corre su diversi binari, compreso l’impegno degli stessi rom nello sfatare, con l’esempio e soprattutto con la partecipazione, quegli stereotipi che non fanno che danneggiarli. La maggior parte dei cittadini, ad esempio, non sa (o non vuole credere, atteggiamento molto comune) che la metà dei 170mila rom e sinti presenti in Italia sono cittadini italiani, anche da molte generazioni, o che alcuni non possono usufruire dei servizi base perché, pur essendo nati in Italia, non sono in possesso di documenti, o che non tutti stanno nei campi ma anzi la maggior parte vive e lavora come qualsiasi cittadino normale. Gli stessi rom non hanno mai fatto molto per farsi conoscere in questo senso: complice il clima di disprezzo e discriminazione (anche nella ricerca di un lavoro o di un appartamento), alcuni addirittura si vergognano di dichiarare la propria origine. Ma non solo. In un report curato sempre da 21 Luglio in cui esponenti della comunità rom e di quella ebraica riflettono insieme sulle forme di discriminazione, razzismo e violenza che entrambi hanno subito nella storia, tra le cause emerse per quanto riguarda i rom c’è proprio la mancanza di unità e di una costruzione, anche scritta, della propria storia e della propria cultura. Non c’è dialogo, non ci sono occasioni di incontro e si sa che, spesso, ciò che non si conosce fa paura e può essere facilmente frainteso.
Questa lettera ai media scritta dai ragazzi potrebbe segnare un punto di svolta. Perché non sono più le associazioni che parlano per loro, com’è sempre stato finora, ma i rom e sinti stessi che finalmente prendono l’iniziativa, si organizzano insieme e si espongono in prima persona. L’associazione 21 Luglio sa quanto questo sia importante e ha iniziato un percorso che coinvolge soprattutto i giovani: dai video della serie “Rom, cittadini dell’Italia che verrà” al corso per attivisti rom e sinti, frequentato da ragazzi e ragazze volenterosi e ansiosi di essere parte attiva del cambiamento. A loro toccherà scontrarsi con una diffidenza e disprezzo cementati in anni di politiche discriminatorie (si ricordi che i campi, in cui date le condizioni di vita è facile che si sviluppino comportamenti criminali, sono un’anomalia tutta nostra), un uso strumentale dei media e anni di silenzio dei diretti interessati. Ora, seppur lungo e difficile, un cammino positivo sembra essere finalmente iniziato. Ma perché abbia successo, ognuno deve fare la sua parte.