Lo scorso 30 gennaio, il Presidente dello Zimbabwe, il novantenne Robert Mugabe, è stato nominato nuovo presidente di turno dell’Unione Africana alla fine del mandato del mauritano Mohamed Ould Abdel Azzi. Un incarico della durata di un anno ufficializzato nel corso del summit di Addis Abeba che ha visto la partecipazione di 54 membri degli stati africani.
Si tratta di una nomina molto discutibile e che lascia sgomenti in virtù del passato politico di Mugabe, leader della guerriglia che lottava contro l’apartheid, marxista e cattolico convinto, con i suoi 35 anni al potere, prima come primo ministro e poi con presidente, ha messo in ginocchio lo Zimbabwe portandolo ai più elevati tassi d’inflazione al mondo e a svalutazioni monetarie senza precedenti. Durante i primi anni al potere Mugabe ha espropriato i terreni dei bianchi per redistribuirli in seno al clan dei suoi familiari, destrutturando così l’ossatura economica dello Zimbabwe e generando una vera e propria rovina sociale che si è manifestata con la fame e l’assenza di beni di prima necessità.
Mugabe, al quale Stati Uniti e Europa hanno negato il visto di entrata per gravi violazioni dei diritti umani, è un tiranno che, tra il 1982 e il 1986, ha massacrato 20.000 persone della minoranza etnica dei Ndebele. Torture, innumeravoli violenze, minacce, e incarcerazioni per ogni forma di dissidenza e di pensiero divergente hanno marcato la sua lunghissima governance in Zimbabwe che adesso intende porre nelle mani della moglie Grace Murufu.