Un’analisi del discorso di Evo Morales in occasione della cerimonia ancestrale di assunzione dei poteri a Tiwanaku.
Mentre la società argentina era in lutto per la morte di Nisman, il pubblico ministero del caso AMIA (l’attentato terroristico del 1994 a Buenos Aires N.d.T), si è tenuta a Tiwanaku la cerimonia in cui Evo Morales Ayma ha assunto l’incarico di presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia. Nella città sacra a tre ore di distanza dalla capitale La Paz migliaia di appartenenti alle comunità originarie si sono presentati vestiti a festa per ascoltare la loro guida spirituale e politica. Vestito con un abito di un bianco impeccabile, guarnito con decorazioni dorate, Evo ha attraversato la Porta del Sole per lanciare il suo messaggio di “rivoluzione politica e culturale”.
Prima d’iniziare, Morales ha salutato i monti che lo circondavano, il padre sole, la madre luna, la sacra foglia di coca, gli spiriti protettori dei fiumi, dei monti, dei boschi e infine la sacra madre terra, la Pachamama.
Accompagnato dai “ saggi amautas” (un termine che ricorda i maestri e pedagoghi dell’impero Inca N.d.T) incaricati di trasmettere il sapere, Evo ha descritto il Pachakuti (Pacha: equilibrio, Kuti: ritorno) come il ritorno all’equilibrio. Il presidente della Bolivia ha così spiegato, dissolvendo ogni dubbio: “Con l’arrivo dei conquistatori e i loro dettami di modernizzazione e civilizzazione abbiamo sopportato per più di 500 anni l’oscurità, l’odio, il razzismo, la discriminazione e l’individualismo. A causa loro abbiamo trasmesso la filosofia della morte”. Teniamo questa cerimonia per ringraziare i nostri antichi leaders, uomini e donne che hanno dedicato la loro vita al popolo. Quando Cristo venne al mondo, nell’anno zero della nostra epoca, Tiwanaku era già una città millenaria, un centro sacro cerimoniale per tutto il territorio andino”.
Ha inoltre ricordato che proprio su queste terre sono state sviluppate le coltivazioni di vari tipi di patata, che hanno alimentato l’Europa in piena carestia e le tecnologie agricole per produrre la quinoa, uno degli alimenti più richiesti al mondo per le sue svariate proprietà. Ha inoltre accennato all’industria tessile, all’allevamento dei lama, alla ceramica, alla scultura, all’artigianato, allo studio dell’arte, alla religione e alla filosofia.
L’economia della Bolivia si basa principalmente sull’estrazione e l’esportazione delle sue risorse naturali, in maggioranza minerali e gas. Grazie ai due governi di Evo Morales, oggi la Bolivia rappresenta il paese con maggiore indice di sviluppo del Sudamerica (più 5.1%). Produce ed esporta gas, litio, argento, ferro, caffè, cacao, sesamo, quinoa, amaranto e mandorle.
Noi boliviani, come gli argentini, gli equadoregni, i brasiliani, i venezuelani e gli altri popoli latinoamericani stiamo vivendo un decennio di lotte e conquiste popolari. Stiamo cambiando la struttura politica ed economica, promuovendo la conquista dei diritti e restituendo agli stati la sovranità sulle loro risorse naturali. “Non si sta discutendo di un romantico ritorno al passato. Si tratta piuttosto di una rivalutazione scientifica del meglio del nostro passato, per combinarlo con la tecnologia moderna. Una modernità ecosostenibile, che ci permetta di industrializzarci senza danneggiare la madre terra” ha asserito Evo.
Attraverso la creazione di stati sociali, basati sulla protezione dei popoli e l’uguaglianza, si è progredito molto su questioni che riguardano la ridistribuzione della ricchezza. A questo proposito Alvaro Garcia Linera, vicepresidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, in occasione della celebrazione per il suo terzo mandato ha detto: “Il continente sta rompendo con inaccettabili tutele e padronati e si è ripreso la capacità di decidere il suo destino. Le nazioni indigene oppresse per secoli, i movimenti sociali sfruttati per decenni, non solo hanno riconquistato un ruolo da protagonisti nella storia, ma hanno anche preso il potere, come in Bolivia e oggi sono a capo del paese”.
Il messaggio era chiaro. Il messaggio era Evo stesso che esprimeva il suo pensiero; un rappresentante dei popoli indigeni originari che parlava in piedi alla gente, invitandola a vivere in armonia con la natura, con le risorse e con tutto il pianeta. Il messaggio è il continente latinoamericano che si sta riprendendo i diritti sulle sue ricchezze; è la Bolivia che parla del Pachakuti. Sono Tupac Katari, Tupac Amaru, Bartolina Sisa, Eduardo Quispe, Pablo Zarate Wilca, Juana Azurduy e gli oltre 140 milioni di Indios massacrati in nome della civiltà perché Evo potesse ricordarci che” i nostri antenati non hanno conosciuto la povertà. Essa è un prodotto della colonizzazione e dei modelli di sviluppo economici e sociali imposti dai paesi capitalisti”.
Lo stesso sviluppo insostenibile che ha generato e continua a provocare le catastrofi ambientali alle quali stiamo tuttora assistendo. “Non è una questione di etnie, né un problema di colore. Non è il colore della mia pelle che ti ammazzerà, ma quello dell’acqua che bevi o dell’aria che respiri. Siamo migliaia di colori diversi, ma un solo pianeta,” ha concluso Evo, rivolgendosi al mondo dall’altipiano boliviano.
Traduzione dallo spagnolo di Paola Mola