L’iniziativa che doveva tenersi Mercoledì 4 marzo, nell’aula 10 della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma La Sapienza, con la proiezione del film THE FADING VALLEY (La valle che muore), della regista israeliana Irit Gal, non si terrà più. Il film, in cui si parla della fertile Valle del Giordano nella Cisgiordania occupata, dove i pascoli dei contadini palestinesi sono stati dichiarati zona militare, i loro pozzi sono sigillati e l’acqua deviata alle colonie israeliane avrebbe testimoniato la vita di questi agricoltori i cui diritti sono stati spazzati via e che sono considerati “illegali” nella propria terra.
È bastata una telefonata dall’ambasciata israeliana e la protesta di qualche studente perché il preside della facoltà si adeguasse, negando l’aula e così anche la possibilità di far conoscere agli studenti e al pubblico questa realtà della Palestina.
L’episodio è sconcertante e fa seguito ad uno analogo di alcuni giorni fa allorché, il rettore dell’Università Roma 3, ritirò l’autorizzazione già concessa all’uso di una delle proprie sedi per una conferenza di Ilan Pappe, storico israeliano e professore all’Università di Exeter, autore del libro La pulizia etnica della Palestina, insieme ad altri accademici italiani e internazionali.
L’iniziativa a La Sapienza era organizzata dal Comitato No all’Accordo Acea Mekorot, che si oppone alla collaborazione tra la società idrica di Roma e la israeliana Mekorot, responsabile del furto di acqua, come documentato da Amnesty International, e come ben illustrato nel film. Essa rientrava tra le iniziative per la Settimana internazionale contro l’Apartheid Israeliana, che si organizza da 10 anni nei campus universitari in tutto il mondo.
Non essendo in grado di giustificare le sue ampiamente documentate violazioni dei diritti della popolazione palestinese, Israele cerca di azzittire sempre di più le iniziative negli spazi pubblici e mette in marcia la macchina della propaganda, come sta facendo attraverso il proprio padiglione a Expo2015 di Milano in cui si magnificano le sue presunte capacità di trasformazione di una terra arida in campi fertili, laddove in realtà l’agricoltura palestinese già fioriva da decenni.
È intollerabile che la sua ambasciata intervenga così pesantemente nelle scelte delle università italiane. Peggio ancora, è disonorevole e vergognoso che le istituzioni accademiche italiane si adeguino ai suoi diktat.
Tutto ciò ci sprona ancora di più a lottare affinché l’università recuperi il suo ruolo di formazione-informazione e si affermi la libertà di espressione in questo paese, e a mobilitarci per dare voce alla Palestina.
Comitato No all’Accordo Acea Mekorot