Di Marianella Kloka
E’ passato quasi un mese con un nuovo governo dopo le elezioni del 25 gennaio. Senza dubbio in questo periodo abbiamo sentito cose che la maggioranza dei greci voleva sentire, non solo in Parlamento, ma anche durante le visite di Tsipras e Varoufakis in varie capitali europee e durante gli incontro dell’Eurogruppo. Lo dimostra la loro enorme popolarità, che secondo i sondaggi arriva quasi all’80% dei greci. Hanno parlato di un’Europa che appoggia la voce della gente e non le richieste dei mercati, hanno menzionato le cifre causate dalle politiche di austerity in Grecia e la profonda recessione del paese e chiesto il riconoscimento delle richieste uscite dalle recenti elezioni. Queste richieste, annunciate durante l’International Expo di Salonicco, sono:
- Combattere la crisi umanitaria (costo stimato: 2 miliardi di euro).
- Misure immediate per far ripartire l’economia (costo stimato: 6,6 miliardi di euro).
- Strategia nazionale per la ripresa lavorativa (costo stimato: 2 miliardi di euro per il primo anno e altri 2 miliardi per il secondo).
- La trasformazione istituzionale e democratica del sistema politico.
Non si parla di uscire dall’euro, quindi tutte queste misure andrebbero realizzate all’interno dell’eurozona.
L’accordo di principio raggiunto venerdì scorso nell’Eurogruppo è stato accolto con sollievo dai greci che non vogliono uscire dall’euro, ma che hanno visto per la prima volta il loro governo negoziare con un’Europa che non era abituata a farlo e neanche lo voleva. E’ stato criticato e degradato da chi si è sentito insultato dalle verità esposte per la prima volta sulla difficile situazione del paese e dell’Europa in generale. Ha diffuso sconcerto e pessimismo tra chi era convinto che “questa è la nostra occasione!” e ha gettato il seme della discordia all’interno di Syriza attraverso le voci della componente comunista, che ha perfino chiesto un cambiamento nella dirigenza e del parlamentare europeo Manolis Glezos, che ha chiesto scusa ai greci.
L’atmosfera in Europa
In alcune città europee la gente si è resa conto del significato del momento e ci sono state manifestazioni in appoggio agli sforzi dei greci. Nonostante questo sostegno sia stato ben accolto da ogni cuore greco che l’aveva richiesto, non si è trattato di un movimento forte e duraturo che chiedeva un’Europa diversa, basata sul benessere delle persone e non su quello dei mercati e pronto a fare pressione sui propri governi per esigere nell’Eurogruppo soluzioni non solo per la Grecia, ma per tutta l’Europa.
E se in Germania aumentassero gli articoli che parlano di 10 milioni di poveri? E se in Italia si moltiplicassero le misure di austerity? Durante la seconda mobilitazione, prima della riunione dell’Eurogruppo, mi trovavo a Lubiana, dove non c’era niente di organizzato. Alla fine il gruppo con cui stavo lavorando su altri temi ha condiviso la mia iniziativa di esporre uno striscione di appoggio alla Grecia. Vale la pena di ricordare che metà del gruppo era composta da tedeschi.
A livello governativo le cose sono state ancora più tragiche: la reazione dei governi dei paesi “ancora più poveri della Grecia” (come la Slovacchia) è stata forse una sorpresa più grossa di quella di paesi sottoposti ai dettami della Troika (come la Spagna) o dell’atteggiamento cinico del governo tedesco (“se è questo che vuole la Grecia, chiediamo al signor Draghi di chiudere i rubinetti della BCE”).
Sfide per il governo greco
Dato che non ha mai parlato seriamente di uscita dall’euro, il governo greco è intrappolato in un accordo (frutto di un ricatto) con l’Eurogruppo in cui sono possibili delle piccole vittorie, ma la maggior parte delle decisioni favorisce il governo tedesco. Tutti noi che capiamo l’inquadramento in cui sono stati condotti i negoziati vogliamo dare tempo e non cedere al cannibalismo o ai pettegolezzi. Rispetto alle misure proposte dal governo greco e accettate dall’Eurogruppo continuiamo a chiederci:
- Visto che i fondi del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria destinati alla Grecia non sono più sotto il controllo del governo greco, da dove verranno i fondi per la strategia nazionale di ricostruzione?
- Dobbiamo scordarci del tema del taglio del debito, pur sapendo che questo tipo di debito non è sostenibile?
- In questa logica, come si possono combinare le politiche per superare la crisi umanitaria con l’inquadramento attuale?
- E’ possibile ricavare questi fondi solo dalla lotta all’evasione fiscale e se sì, come si può realizzare tutto questo in poco tempo?
Considerato che le circostanze nell’Eurozona non sono mature per implementare politiche che combattano la crisi umanitaria in relazione al benessere dei mercati, forse è ora di aprire una discussione seria e calma sull’uscita dall’euro. Discutiamone e lasciamo che la gente decida con un referendum.
Sfide per la gente
I movimenti di piazza non devono essere diretti dai governi. Devono appoggiarne le scelte quando queste servono l’interesse pubblico e chiedere l’uscita dalla recessione, la lotta alla crisi umanitaria e la richiesta di valori diversi in Europa. Devono opporsi alle scelte dei governi se queste si allontanano dalle promesse elettorali dei partiti che li formano e devono esigere di decidere con un referendum le questioni importanti, anche quando le elezioni si sono svolte da poco.
Chi ha manifestato in Grecia e in Europa non deve lasciarsi contaminare dalla delusione. I cambiamenti possono avvenire all’improvviso, quando le circostanze sono mature. Dobbiamo alimentare la fede nel cambiamento a prescindere dai governi e moltiplicare le azioni di solidarietà e i metodi alternativi delle battaglie nonviolente emerse negli ultimi anni. Dobbiamo continuare a chiedere agli altri paesi europei di comprendere il problema nella giusta prospettiva: il modello economico imposto dal sistema attuale è fallito perché ha posto il denaro e i mercati al di sopra della gente.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo
Attivista del Movimento Umanista in Grecia, Marianella Kloka ha portato avanti iniziative politiche, sociali e culturali in vari paesi e continenti per oltre vent’anni.