La decisione di attaccare la Libia era ingiustificata e illegittima secondo l’intelligence US ed è stata portata avanti esclusivamente per volontà di Hillary Clinton
Per chi conosce o segue le vicende di geopolitica, questa notizia non stupirà affatto, anzi, magari, provocherà un sarcastico sorriso e un commento del tipo: “la scoperta dell’acqua calda”. Eppure non sono in molti a conoscere storie del genere e ad avere conoscenza e consapevolezza dei retroscena di veri e propri atti criminali di cui spesso sono responsabili i cosiddetti difensori della democrazia, della libertà e dei diritti umani. E’ per quello che le scriviamo, in barba al silenzio mediatico e complice al riguardo di vicende del genere.
Parliamo della guerra in Libia, quella che nel 2011 portò all’uccisione di Mu’ammar Gheddafi a Sirte. Sull’onda della primavera araba e di un nuovo spirito di rivalsa popolare, il popolo libico (o magari si trattava di mercenari assoldati da qualcuno?) scatenò una sorta d’insurrezione alla quale le forze dell’ordine libiche risposero con veemenza. Dopo un mese dai primi scontri interni, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decise d’intervenire, votando la risoluzione 1973, con l’intento di istituire una no-fly zone in territorio libico per proteggere la popolazione civile.
All’intervento militare iniziato il 19 marzo, parteciparono diversi paesi alleati tra cui l’Italia. Ben presto, irrispettosi della no-fly zone, la guerra, ipocritamente voluta per evitare una crisi umanitaria, si trasformò in una cieca e spietata caccia all’uomo, Gheddafi, con l’imminente finalità di sopprimerlo. Quella che mediaticamente era stato venduto come intervento “chirurgico” con le note bombe intelligenti, si trasforma in un’orrenda guerra che trucida civili, bambini, donne rei solamente di trovarsi sulla testa una ordigno esplosivo intelligente. La crisi umanitaria tanto temuta e per la quale si era intervenuti è stata in definitiva determinata dall’intervento alleato e non da altri.
In questi giorni, sulla guerra in Libia, il The Washington Times ha rivelato alcune registrazioni ancora segrete arricchite da testimonianze di alcuni importanti membri del Congresso degli Stati Uniti e del Pentagono, l’intelligence statunitense, dalle quali emergono retroscena raccapriccianti sotto diversi punti di vista. E’ condannabile la superficialità, l’arroganza e in alcuni casi l’ingenuità con cui la Clinton ha gestito tutta la faccenda portandola infine a una sua ingiustificata degenerazione finalizzata con un conflitto atroce. Riprovevoli anche la sua incapacità d’ascolto e il suo ignorare perfino l’intelligence statunitense che a più riprese aveva reputato quell’intervento sbagliato, ingiustificato e illegale.
Ma andiamo per ordine. La tesi sostenuta dalla Clinton era fondata sulla certezza che Gheddafi intendeva perpetrare un genocidio e creare una crisi umanitaria. In quello scenario ipotetico, un non intervento avrebbe significato un Rwanda bis. Questi furono gli argomenti utilizzati da Hillary Clinton senza mai demordere per convincere sull’urgenza della guerra dapprima Obama e in seguito i membri della Nato tra i quali trovò un famelico guerrafondaio in Sarkozy.
Nelle registrazioni è possibile ascoltare le conversazioni con Seif Gheddafi, figlio del colonnello, nelle quali in più occasioni sembra quasi supplicare un non intervento spiegando del grave errore di valutazione che si stava commettendo (così come quello commesso in passato in Iraq e che aveva portato ad attaccare Suddam per delle armi di distruzione di massa mai detenute) e anzi richiedendo l’aiuto degli USA invitandoli a effettuare un missione per rendersi conto con i propri occhi di ciò che stava accadendo.
Racconta di come Stati Uniti e Nato stavano difendendo e supportando con navi, aerei, e armi gli jihadisti, dei gangster e dei terroristi e non dei ribelli libici liberi. Ricordiamoci di questo passaggio e interroghiamoci su come si crea il traffico di armi in quelle zone così calde del pianeta e come sia possibile che i “terroristi” (quelli di oggi) posseggano arsenali così ben forniti; un’altra triste conferma, questa, di cui si piangono le conseguenze tuttora (vedi Stato Islamico, situazione in Siria, Charlie Hebdo, ecc).
Per altro verso, da queste rivelazioni e dalle testimonianze raccolte dal Times, emerge l’illogica e inusuale sconnessione tra la Clinton e la sua intelligence. Le posizioni del Pentagono e della Difesa US erano diverse e dissenzienti. Il Segretario alla Difesa Robert M. Gates e il capo dello Stato Maggiore Mike Mullem si opposero fortemente al ricorso alla forza. E’ evidente la distorsione tra ciò che stava realmente accadendo in Libia e il feeling della Clinton che agì ignorando i warning del Pentagono.
Del resto anche le testimonianze e i report di campo di Human Rights Watch denunciavano sì le morti di molte persone e le violenze ma non indicavano alcun rischio di crisi umanitaria o di possibili massacri né genocidi, così come sostenuto del resto da Sarah Leah Whitson, Direttrice di Human Rights Watch dell’area Nord-Africa e Medio Oriente.
Ma la Clinton prosegue la sua corsa con il paraocchi e a metà marzo del 2011, secondo le indiscrezioni venute fuori, arriva persino a incontrare a Parigi, nell’hotel Paris Westin, un rappresentante dei ribelli libici, Mahmoud Jibril, divenuto successivamente capo del Governo nazionale di transizione e in precedenza collaboratore, con tanto di carica pubblica allo sviluppo economico nazionale, proprio del colonnello Gheddafi.
Dopo 45 minuti di conversazione con Jibril, Hillary Clinton consolidò la personale idea della necessità e dell’urgenza dell’intervento. Inutile interrogarsi su come sia possibile incontrare un ribelle a Parigi in quel momento, né tanto meno come si possa dare più credito a quella conversazione più che alla dream team dell’intelligence statunitense.
Da quel momento la Clinton ordinò di chiudere le porte a ogni tentativo di negoziazione e addirittura di contatto con la Libia. Parallelamente però, continuando il suo cammino deviante, l’intelligence continuò a mantenere rapporti con i libici che ripetutamente chiesero di arrestare le operazioni belliche e di arrivare alla tregua, ma nell’assoluta sordità dell’ex- Segretario di Stato US.
Il resto è 19 marzo 2011. I primi bombardamenti “intelligenti” e il senso d’impotenza per chi ama la nonviolenza e la giustizia e per chi vive cercando di difendere realmente i diritti umani.
Il resto è storia nota: i nostri ministri e il Presidente Napolitano che relativizzano parlando d’intervento chirurgico mentre in Rete è possibile visionare dei video da brivido che mostrano le carneficine e la distruzione disumana all’indomani di quelle bombe intelligenti
Il resto è la storia della complicità e dell’apparente non peso in questa vicenda di Barack Obama, il premio nobel per la Pace che più di ogni altro ha ucciso nella storia e ha remato contro la pace. Quell’Obama che non più tardi di alcuni giorni fa si è prostrato ai piedi del trono dell’Arabia Saudita davanti al neo re Salman che di certo non è uno stinco di santo (come non lo era Gheddafi) e che di violenza e di violazione dei diritti umani ne sa qualcosa; ma ha il petrolio, una posizione geografica interessante e allora è rispettabile per un presidente degli Stati Uniti.
Il resto è storia, è la nostra storia, quella che vede i furbi farsela sempre franca nonostante gli abusi e i crimini di guerra commessi alla luce del giorno e con un tale consenso internazionale che consente loro di additare gli altri come cattivi e terroristi.
Il resto è storia ma anche presente, quello che da Charlie Hedbo in poi vuol far credere alla gente che è iniziata una guerra tra Occidente e Medio-Oriente sebbene da decenni, noi occidentali, per puro interesse economico, non facciamo che bombardare senza scrupoli gli innocenti e i civili di quei territori, ma questo non è considerabile come terrorismo.
E il futuro? Il futuro potrebbe proporci Hillary Clinton come successore di Obama.