Dalla violenza nelle strade, lo Yemen è rapidamente passato alla crisi politico-istituzionale. Oggi si sono dimessi, in rapida successione, prima il capo del governo Khaled Bahah con tutti i ministri del suo esecutivo e poi il presidente della repubblica Abd-Rabbu Mansur Hadi.
Bahah, a capo solo dallo scorso novembre di un esecutivo frutto di un fragile accordo tra la presidenza e i ribelli sciiti zayditi Huthi, ha dichiarato di aver operato in condizioni molto difficoltose e di voler lasciare il suo incarico per il timore di essere trascinato in scelte politiche “non costruttive”. Poco dopo aver ricevuto nelle proprie mani le dimissioni del premier, ha scelto di dimettersi anche lo stesso presidente yemenita Hadi, al potere prima ad interim durante le rivolte del 2011 e poi a pieno titolo dal 2012, vincendo le elezioni da candidato unico.
Il presidente del parlamento di Sana’a ha tuttavia deciso di respingere le dimissioni del capo di Stato, convocando una seduta straordinaria dell’assemblea per domani.
Questo sconvolgimento istituzionale avviene il giorno dopo la conclusione di un accordo tra la presidenza della repubblica, appoggiata da Stati Uniti e Arabia Saudita, e le milizie Huthi, dietro le quali si cela l’Iran. L’intesa, raggiunta per porre fine agli scontri che da lunedì interessano la capitale e sono culminati con il bombardamento e la parziale occupazione del palazzo presidenziale da parte dei ribelli sciiti, prevedeva la fine dell'”assedio ai palazzi” e delle violenze, in cambio della presa in considerazione di una riforma costituzionale volta a favorire una maggiore presenza parlamentare e governativa degli Huthi.
Stretto nella morsa tra l’élite sunnita al potere e i ribelli zayditi Huthi, che tra l’altro da settembre 2014 controllano militarmente la capitale Sana’a, e al centro di complicate strategie geopolitiche mediorientali che contrappongono Arabia Saudita e Iran, lo Yemen resta uno dei Paesi più poveri del mondo arabo. La condizione globale della popolazione è ulteriormente aggravata, oltre che da una perenne instabilità politica, da storiche contrapposizioni interne e dalla nutrita presenza di uomini di Al-Qa’ida, che proprio nello Stato sudarabico ha una delle sue cellule principali.