La manifestazione di domenica 11 gennaio 2015 a Parigi ha segnato un punto di svolta dopo l’eccidio nella redazione di Charlie Hebdo e i morti dei giorni seguenti: basta con le manifestazioni spontanee, improntate al dialogo e al rifiuto dell’odio e della violenza e avanti con la politica, le misure di sicurezza e le missioni militari “per combattere il terrorismo”, come l’invio della portaerei Charles de Gaulle per le operazioni contro lo stato islamico in Iraq annunciato da Hollande.
Un’immagine più di tutte illustra questa sterzata: la fila di capi di stato e governo in apparenza alla testa del corteo e in realtà separati dal resto dei manifestanti da un grande spazio vuoto.
I toni si alzano e in Italia giornali come Repubblica e Corriere della Sera si accodano e rilanciano: partecipando alla trasmissione di Gad Lerner “Fischia il vento” il direttore di Repubblica Ezio Mauro afferma che “hanno dichiarato guerra all’Occidente, portandola nel cuore della civiltà e della libertà d’informazione” e denuncia quei musulmani cresciuti in Europa che “ci fanno retrocedere nella cultura della morte”, dimenticando episodi infami di terrorismo made in USA & alleati come le stragi di civili in Iraq e Afghanistan, tanto per limitarci a due paesi invasi “per portare la democrazia”.
Nel suo editoriale “Il buonismo che acceca”, uscito sul Corriere, Piero Ostellino va ancora oltre: in un crescendo di arroganza e razzismo si scaglia contro un “Islam immerso nel Medioevo e incapace di uscirne”, contro l’immigrazione come cavallo di Troia dei propositi islamici di dominio, sostiene che non solo noi siamo diversi, ma “siamo anche migliori, perché conosciamo e pratichiamo la separazione della religione dalla politica“ (come dimostrato dall’assenza di diritti per i gay e dai continui attacchi della Chiesa alla legge sull’aborto) e conclude sprezzante e perentorio: “Non siamo noi che dobbiamo riscoprire le nostre radici. Sono loro che devono rinunciare alle loro.”
Insomma, stiamo tornando allo scontro di civiltà di Bush, al “o con noi o contro di noi” che a partire dall’11 settembre 2001 ha portato a tanti disastri. Dodici anni fa milioni di persone sono scese in piazza per opporsi (invano) all’invasione dell’Iraq, mostrando quel divario tra popoli e governi evidenziato dalla foto della manifestazione di Parigi. Nel frattempo la crisi ha colpito duro, la disintegrazione sociale è aumentata e la consapevolezza di quella distanza forse oggi non è così diffusa: la gente si accorgerà della differenza di approccio e atmosfera tra le manifestazioni con le matite alzate e le candele e l’ipocrisia dei leaders accorsi a Parigi solo per farsi fotografare? Riuscirà a leggere dietro ai proclami in difesa della democrazia e della libertà di stampa il vero disegno di difesa dei propri interessi anche a costo di bombe, invasioni e restrizioni della libertà in nome della sicurezza?
Oggi più che mai il compito di un’informazione davvero libera è quello di denunciare ipocrisie, falsità e disegni autoritari e di dare spazio a tutte le voci e le iniziative che lavorano invece per il dialogo e la nonviolenza.