Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto, Barney Edizioni, Milano 2014 di Giuliano Pavone
Il Libro di Giuliano Pavone “Venditori di fumo. Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto” esordisce con due citazioni tratte dall’ordinanza di sequestro dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto, disposta dal Giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, nel luglio del 2012: “Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. “La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all’ambiente e alla salute delle persone”. L’Autore dedica il Libro non solo alla memoria del piccolo Lorenzo Zaratta, una delle innumerevoli vittime dell’inquinamento industriale, ma anche “a chi ama Taranto e lo dimostra coi fatti”, riferendosi agli esperti attivisti che operano nell’associazionismo ambientalista tarantino e che si spendono e si sacrificano quotidianamente per portare alla luce la verità, in quanto l’omertà, la menzogna e la connivenza a Taranto fanno ancora più rabbia della noncuranza con cui l’industria ha devastato ambiente e distrutto vite umane, per la logica spietata del massimo profitto dei padroni. Parafrasando Italo Calvino, Taranto sembra una “Città invisibile”, in senso letterale, in quanto dimenticata e sconosciuta ai più. La politica nazionale è sempre rimasta sorda alle richieste di aiuto giunte più volte dal capoluogo jonico e, anzi, ha adeguato l’impianto normativo alle esigenze dell’Ilva, della grande industria, piuttosto che pretendere il rispetto delle regole da parte del colosso siderurgico. La politica locale, inoltre, dopo anni di stasi sostanziale, sembrava, anche grazie alle spinte dell’associazionismo ambientalista e ecopacifista tarantino, aver preso a cuore il problema, invece, ha palesemente tradito le aspettative, mostrando un asservimento perdurante alle bieche logiche del profitto e della grande industria. “Città invisibile” Taranto lo è in senso letterale, perché sconosciuta, dimenticata, poco considerata e compresa, abbandonata. Con “Le città invisibili” di Italo Calvino ha in comune la natura fantastica, estrema, fortemente allegorica: doppia come due sono i suoi mari, piena di contrasti, liquida e sfuggente. Taranto, in questa congiuntura, sembra visibile, ma non è niente. Anche se potrebbe essere tutto. Una città dove regna la convinzione che nulla mai possa cambiare, in una sorta di anno zero, dopo anni di sostanziale immobilismo: il blocco, da parte della Magistratura, dell’azienda matrigna, il siderurgico più grande d’Europa, un colosso esteso che apre disparati orizzonti davanti alla città, dalla crisi occupazionale e irreversibile a tensioni sociali fuori controllo, nell’implosione più totale.
L’alternativa?
Messa a norma degli impianti, riconversione, bonifiche e sostanziale ripensamento dell’economia cittadina, come esempio di nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e ecosostenibile, per un futuro salubre e prospero. E se il terremoto politico-giudiziario si rivelasse l’ennesimo fallimento e tutto, ancora una volta, fosse destinato a tornare come prima del sequestro degli impianti siderurgici?
“A Taranto dominava un’accozzaglia di superficialità, scarsa preparazione, finta conoscenza dei problemi, mischiata a rozza e insensata sicurezza. In tanti credevano che l’inquinamento li avrebbe corazzati e che, respirando un po’ alla volta i veleni, si sarebbero immunizzati. Una folle e insensata convinzione che albergava anche nella mente di gente laureata”. Così ha scritto Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione ecopacifista PeaceLink, nell’introduzione del fumetto “L’eroe dei due mari. Taranto, il calcio, l’Ilva e un sogno di riscatto” (Altrainformazione, 2012). In quanto attivista e redattrice di PeaceLink, mi sento di denunciare che il caso Ilva, attualmente, viene semplicemente rappresentato come una vertenza occupazionale o una mera questione di politica industriale. Ma i drammatici dati di malattia e di morte, che ancora qualcuno si ostina a mettere in dubbio e a confutare, vengono “derubricati a fattore scatenante di un problema esclusivamente economico”, anziché essere considerati essi stessi il vero problema. Taranto, nella sua tragedia lenta, silenziosa, inesorabile, è schiacciata sotto il peso del ricatto occupazionale e di relazioni pericolose e bieche connivenze che l’Ilva ha intrattenuto con coloro che erano preposti a controllare e denunciare le emissioni inquinanti: i sindacati, le forze dell’ordine, gli organi di giustizia, la stampa e la politica fino ai più alti vertici istituzionali …e persino la Chiesa.
Il caso Ilva rappresenta, attualmente, il terreno su cui si misurano la credibilità e le autentiche priorità del nostro Paese, in una storia profondamente italiana, fondata su componenti umane e disumane di ignavia e di eroismo, di cinismo e solidarietà, di scelte avventate e corruzione, di malaffare, di grandi opere e omissioni. Dunque, Taranto è ormai la “Città visibile” in assoluto, al centro di un interesse legittimo, in quanto costituisce, nella propria esplicita e implicita complessità, un caso che offre strumenti per analizzare problematiche dibattute e per interpretare a fondo i rapporti che intercorrono tra giustizia e informazione e tra politica e potere economico.
www.arivista.org