Dopo la liberazione della città di Kobane e la cacciata dei miliziani dello Stato Islamico (IS), l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede che la comunità internazionale sostenga un’amministrazione autonoma della regione kurda in Siria, anche contro la volontà del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Non può essere, così l’APM, che a decidere del futuro dei Kurdi in Siria sia il solo presidente turco. Dopo decenni di persecuzioni e discriminazioni, l’unico modo per garantire la stabilità della regione è quello di concedere l’autonomia amministrativa ai tre cantoni kurdi in Siria, Kobane, Afrin e Cezire.
Se Erdogan continua a insistere sulla sua linea politica e continua a rifiutare ogni concessione alla popolazione kurda in Siria, anche l’Europa dovrebbe ripensare a fondo la sua politica nei confronti del partner Nato Turchia. L’APM ricorda infatti gli ostacoli posti dal governo turco alla resistenza kurda all’IS e agli aiuti umanitari alla popolazione kurda intrappolata nella regione dalle milizie dell’IS. Mentre le autorità turche da un lato tolleravano la presenza sul loro territorio di miliziani dell’IS, dall’altro tentavano di impedire ai combattenti della resistenza kurda feriti di mettersi in salvo in territorio turco e farsi medicare negli ospedali turchi. Diversi combattenti kurdi sono infatti morti dissanguati di fronte agli occhi della polizia di frontiera turca.
Solo in seguito alle crescenti pressioni internazionali il governo di Ankara ha permesso il passaggio di 160 peshmerga kurdo-iracheni per sostenere militarmente gli uomini e le donne di Kobane. Ai Kurdi in Turchia non è stato invece permesso di unirsi alla resistenza contro l’IS.
La zona di Kobane è stata assediata dall’organizzazione terroristica “Stato Islamico” (IS) fin dalla fine del 2013, ma alla fine ha dovuto capitolare di fronte alla resistenza delle unità di resistenza popolare (YPG). A metà settembre 2014 le milizie radical-islamiche avevano avviato una grande offensiva contro la città di Kobane, e lo scorso 28 settembre avevano dato inizio all’attacco alla città. Tra i 200.000 e i 300.000 civili kurdi sono dovuti fuggire nella vicina Turchia.