Difficilmente si troverà in Africa un luogo in cui le divisioni tra le “razze” e le classi sono esagerate in modo così grottesco come in Namibia. Ville, caffè e centri culturali lussuosi attorniano vecchie chiese tedesche, ma a sole poche miglia di distanza ci sono enormi baraccopoli prive di ogni servizio elementare. La divisione tra bianchi e neri è impressionante, con giusto in mezzo alcuni quartieri che ospitano “gente di colore”.
Il centro di Windhoek, la capitale della Namibia trasmette un’inequivocabile sensazione germanica, con la sua esibizione di architettura coloniale, compresi vasi di fiori, chiese protestanti e targhe commemorative che piangono quei “coraggiosi uomini, donne e bambini tedeschi, quei martiri caduti durante le rivolte e le guerre condotte dalla popolazione indigena locale”.
Il più divisivo e assurdo di tale memoriale è il cosiddetto Monumento Equestre, più comunemente noto come “il Cavallo” o, secondo i nomi tedeschi, Reiterdenkmal e Sudwester Reiter (Cavaliere del Sud-ovest). E’ una statua inaugurata il 27 gennaio 1912, compleanno dell’imperatore tedesco Guglielmo II. Il monumento “onora i soldati e i civili che morirono nello schieramento tedesco della guerra Herero e Namaqua del 1904-1907”.
Per essere precisi quella ‘guerra’ non fu realmente una guerra; non fu altro che un genocidio, un olocausto. Naturalmente ci sono stati molti olocausti commessi dagli europei in Africa, dalle caccie britanniche e francesi agli schiavi, ai circa dieci milioni di morti innocenti assassinati a sangue freddo in quella che oggi è la Repubblica Democratica del Congo, durante il regno (in Europa) di un monarca belga molto riverito, Re Leopoldo II.
La Namibia fu un preludio di ciò che i nazisti tedeschi cercarono in seguito di attuare sul suolo europeo. Come i francesi in parte delle loro colonie caraibiche e del Pacifico, la percentuale di successo dei colonizzatori tedeschi fu quasi completa, intorno all’ottanta per cento.
Un’esperta europea che lavora per l’ONU, mia amica, parla, come quasi tutti qui, appassionatamente, ma senza osare rivelare il suo nome: “I primi campi di concentramento sulla terra furono costruiti in questa parte dell’Africa… Furono eretti dall’Impero britannico in Sudafrica e dai tedeschi qui, in Namibia. Shark Island, sulla costa, fu il primo campo di concentramento in Namibia, usato per assassinare il popolo Nama, ma oggi è soltanto una meta turistica, principalmente per i subacquei; non immagineresti mai che là siano state sterminate delle persone. Qui nel centro di Windhoek c’era un altro campo di sterminio; proprio dove stava in origine il Cavallo”.
Il Cavallo è stato recentemente rimosso dalla sua collocazione originale e posto nel cortile dell’ala vecchia del Museo Nazionale, assieme ad alcune delle più vergognose targhe commemorative, che glorificano le azioni tedesche in questa parte del mondo. Nulla è stato distrutto; soltanto invece trasferito dalla sua collocazione originale.
Dove stava il Cavallo oggi c’è una fiera statua anticolonialista, quella di un uomo e una donna con le catene spezzate che dichiara: “Il loro sangue nutre la nostra libertà”. Una visita a questi cimeli tedeschi di genocidio è ‘un must assoluto’ per innumerevoli turisti dell’Europa centrale che scendono ogni giorno in questo paese, principalmente nel loro “favoloso tour dell’Africa del sud” che include Sudafrica, Botswana e Namibia. Ho seguito diversi di questi gruppi, ascoltando le loro conversazioni. Tra i loro membri non pare esistere alcun rimorso e quasi nessun esame di coscienza; solo istantanee, in posa di fronte ai monumenti e alle insegne razziste, barzellette da birra al bar in luoghi in cui intere culture e nazioni sono state sterminate!
I turisti centroeuropei di lingua tedesca a Windhoek sembrano lobotomizzati e totalmente privi di emozioni. E lo stesso vale per molti dei discendenti di quei pionieri genocidi tedeschi. Incontrarli è una specie di déjà vu; richiama ricordi degli anni in cui stavo lottando contro la colonia tedesca nazista, Colonia Dignidad, in Cile; o quando stavo indagando le atrocità e i collegamenti della comunità tedesca nazista in Paraguay con diversi regimi fascisti sudamericani che erano stati installati e mantenuti dall’occidente.
E oggi la comunità tedesca in Namibia sta protestando contro la rimozione del Cavallo. E’ indignata. E questa comunità è ancora potente, persino onnipotente, qui in Namibia. Quasi nessuno chiama gli eventi che ebbero luogo qui con il loro giusto nome: olocausto o genocidio. Tutto in Namibia è sensibile. Ma persino secondo la BBC: “Nel 1985 un rapporto dell’ONU ha classificato gli eventi come un tentativo di sterminare le popolazioni Herero e Nama dell’Africa sud-occidentale, e perciò il primo genocidio tentato nel ventesimo secolo”.
Il 21 ottobre 2012 il quotidiano canadese The Globe and Mail ha scritto: “Tra le sterpaglie e le macchie della Namibia centrale, i discendenti degli Herero sopravvissuti vivono in squallide baracche e minuscoli appezzamenti di terra. A fianco a fianco i discendenti dei coloni tedeschi continuano a essere proprietari di vaste proprietà di 20.000 o più ettari. E’ un contrasto che fa infuriare molti Herero, alimentando qui un nuovo radicalismo.
Ogni anno gli Herero tengono cerimonie solenni per ricordare il primo genocidio del sanguinario secolo storico in cui i soldati tedeschi li cacciarono a morire nel deserto, cancellando mediante la fame, la sete e il lavoro schiavo in campi di concentramento l’ottanta per cento della loro popolazione. I Nama, un gruppo etnico più piccolo, hanno perso metà della loro popolazione a causa della medesima persecuzione.
Nuove ricerche suggeriscono che il genocidio razziale tedesco in Namibia dal 1904 al 1908 abbia avuto una significativa influenza sui nazisti nella seconda guerra mondiale. Molti degli elementi chiave dell’ideologia nazista – dalla scienza razziale ed eugenetica alla teoria del Lebensraum (creare uno spazio vitale mediante la colonizzazione) – furono promosse da veterani dell’esercito e da scienziati tedeschi che avevano iniziato la loro carriera nell’Africa sud-occidentale, oggi Namibia, durante il genocidio…”
Il governo namibico sta tuttora negoziando il ritorno (dalla Germania) di tutti i teschi della popolazione locale che furono usati in laboratori tedeschi e da scienziati tedeschi per dimostrare la superiorità della razza bianca. Colonialisti tedeschi decapitarono persone Herero e Nama e almeno 300 teste furono trasportate in laboratori tedeschi per ricerca scientifica. Molte sono state scoperte nel Museo Storico della Medicina dell’ospedale Charite di Berlino e presso l’università di Friburgo.
Un eminente medico tedesco, che lavorava alla “dottrina della razza pura” in Namibia (la dottrina successivamente usata dai nazisti) fu Eugen Fischer. Egli “educò” molti medici tedeschi, compreso il dottor Mengele. Sorprende poco, considerato che il primo governatore tedesco della colonia fu il padre del vice di Hitler, Herman Goering.
La Germania non ha mai ufficialmente presentato le sue scuse per i suoi crimini contro l’umanità in quella che soleva chiamare l’Africa sud-occidentale tedesca. Non ha pagato riparazioni. Né lo ha fatto, naturalmente, la maggior parte delle potenze coloniali europee, dal Portogallo alla Gran Bretagna e alla Francia. Quando uno dei più grandi leader africani, Patrice Lumumba, democraticamente eletto presidente del Congo, dichiarò che l’Africa non ha nulla di cui essere grata alle potenze coloniali europee, fu assassinato a sangue freddo da un’alleanza di nazioni: belga, britannica e statunitense.
Le divisioni sono sconvolgenti: ideologiche, razziali, sociali. In Namibia esiste ovunque la segregazione su scala enorme. Mentre il vicino Sudafrica si sta rapidamente allontanando dalla segregazione razziale, introducendo innumerevoli politiche sociali, tra cui l’assistenza medica, l’istruzione e gli alloggi popolari gratuiti, la Namibia resta uno dei paesi più segregazionisti della terra, con grandiosi servizi privati per i ricchi e quasi nulla per la maggioranza povera.
“L’apartheid è stato qui anche peggiore che in Sudafrica”, mi dice la mia amica delle Nazioni Unite. “E fino a oggi… se vai a Katutura e vede chi ci vive… è tutta gente locale là, tutti neri. Katutura letteralmente significa ‘non abbiamo nessun posto dove stare’. Il cinquanta per cento della popolazione di questa città defeca all’aperto. I sistemi fognari sono un disastro totale. Poi vai a Swakop City, sulla costa, ed è come vedere la Germania ricostruita in Africa. La vedi anche negozi con souvenir nazisti. Alcuni nazisti, fuggiti dall’Europa, sono venuti a Windhoek, a Swakop e in altre città. A Swakop gli uomini marciano periodicamente in repliche delle uniformi naziste”.
Katutura è dove la popolazione nera fu trasferita durante l’apartheid. Il mio amico, un namibico ‘di colore’ che ha lottato per l’indipendenza del suo paese e dell’Angola mi ha portato a quella vergognosa baraccopoli che sembra ospitare una considerevole parte della popolazione della capitale, prevalentemente senza accesso ai servizi sanitari elementari o all’elettricità.
Ha anche scelto di mantenere l’anonimato, come mi ha spiegato, per proteggere la sua bella famiglia. Parlare senza peli sulla lingua, diversamente che in Sudafrica che può essere oggi uno dei luoghi più liberi e franchi della terra, può essere estremamente pericoloso. Ma chiarisce ulteriormente: “In Namibia è molto raro per la gente abituata a soffrire, parlarne pubblicamente. In Sudafrica tutti parlano. In Angola tutti parlano … Ma non qui”.
Poi continua: “Quello che possiamo vedere in Namibia è che molti tedeschi hanno ancora il controllo dei grandi affari. Governano il paese. Hanno riserve di caccia e altre grandi proprietà immobiliari e imprese. I tedeschi portano soldi in Namibia, ma restano a loro, e consolidato il loro potere; non arrivano alla maggioranza. Non puoi nemmeno immaginare quanto soffrano i locali che lavorano nelle loro fattoria. E’ tuttora come lo schiavismo. Ma qui tutto è messo a tacere”.
Per molti decenni la storia ufficiale, interpretata dai media di massa e dalle accademie occidentali, a proposito dell’ascesa del nazismo in Germania è stata grosso modo questa: “Il Trattato di Versailles firmato nel 1919 fu ‘troppo duro’. La Germania fu umiliata, impoverita e in conseguenza crebbe l’estremismo, compresi il nazionalismo estremo e il nazismo. Conseguentemente Hitler e la sua cricca riuscirono a conquistare il potere”.
Quanti pensatori, storici, filosofi e scrittori, hanno lamentato: “Come ha potuto una nazione moderata ed essenzialmente pacifica di Goethe, Beethoven, Bach, la Germania, produrre un’ideologia così mostruosa? Come ha potuto, senza preavviso, cominciare a sterminare milioni di ebrei, zingari (rom), slavi, disabili e persone di sinistra?”
Ma… la Germania era davvero una ‘nazione moderata’? Pensateci due volte! In Europa negli anni ’30 e ’40 la Germania copiò semplicemente e scrupolosamente i crimini che era solita commettere regolarmente nelle sue colonie, in particolare in quella che allora nota come l’Africa sud-occidentale, oggi Namibia.
La parte meridionale dell’Africa fu dove i britannici e i tedeschi costruirono i primi campi di concentramento della terra. E’ dove le persone furono trattate da sub-umani, da animali, ed è dove intere nazioni furono sterminate.
Fino ad oggi non ci sono state scuse e a malapena riconoscimenti della storia da parte dell’Europa. Nella storia recente l’occidente ha appoggiato apertamente l’apartheid in Sudafrica e in Namibia, così come la brutale guerra civile nella vicina Angola.
Gli incubi di Goering e Mengele hanno avuto il loro preludio e le loro ripercussioni in questa parte del mondo.
Di Andre Vltchek, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta.
Traduzione per Z-Net Italy di Giuseppe Volpe