La Mauritania continua a criminalizzare gli attivisti per i diritti umani e a celebrare processi farsa
Bolzano, Göttingen, 18 dicembre 2014
Nonostante la Mauritania abbia da tempo abolito la schiavitù e nel 2007 abbia promulgato una legge che la criminalizza, nel paese africano circa 500.000 persone vivono ancora in condizioni di schiavitù. L’attivista per i diritti umani insignito nel 2013 del Premio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite Biram Dah Abeid e gli attivisti dell’organizzazione mauritana IRA (Initiative de Resurgence du mouvement Abolitionniste de Mauritanie) da anni si oppongono e denunciano il persistere di questa ignobile pratica e per questo motivo sono stati più volte arrestati.
L’ultimo arresto di Biram Dah Abeid e di sette altri attivisti risale all’11 novembre scorso. Arrestati nella città di Rosso per una manifestazione non autorizzata durante la quale intendevano consegnare al governatore un appello contro la schiavitù e il furto di terre, gli attivisti anti-schiavitù sono tuttora in carcere.
Oggi 18 dicembre, gli attivisti per i diritti umani saranno processati a sorpresa in un processo lampo che lascia molti dubbi sulla correttezza del suo svolgimento.
In seguito alle indicazioni del presidente mauritano Mohamed Abdel Aziz alla Corte Suprema e al procuratore generale di accelerare il procedimento contro gli otto attivisti, la Corte ha deciso con sorprendente velocità la data del processo comunicandola agli avvocati difensori meno di una settimana prima dell’inizio del processo. Per gli avvocati degli attivisti non vi è stato quindi sufficiente tempo per prepararsi né per organizzare la presenza al processo di osservatori internazionali.
La difesa degli attivisti si presenta particolarmente difficile a causa della vaga formulazione dell’accusa che oltre alla “partecipazione a manifestazione non autorizzata” parla di “ribellione” lasciando così aperta la possibilità di una condanna a una lunga pena detentiva.