Checklist. Come fare andare meglio le cose è un saggio molto emozionante di Atul Gawande, un chirurgo americano con grandi doti narrative (Einaudi, 2011, 198 pagine, euro 19).
Le checklist sono nate nel settore aereonautico per gestire al meglio il volo dei grandi bombardieri e hanno contribuito a sconfiggere la Germania nazista. Oggi negli Stati Uniti e nei paesi più civilizzati sono usate in quasi tutte le professioni moderne. Sono molto utili ai progettisti di software, ai manager finanziari, ai vigili del fuoco, agli agenti di polizia, agli avvocati e ai medici.
Però “è assai raro che conduciamo indagini sui nostri insuccessi. È raro in medicina, ma anche nell’insegnamento, nella professione legale, nel mondo finanziario, e praticamente in tutti i lavori i cui errori non meritano l’attenzione dei telegiornali. Un singolo tipo di errore può causare danni a migliaia di persone, ma dal momento che colpisce un individuo per volta non tendiamo a cercarne a tutti i costi le spiegazioni”. Invece i disastri aerei provocano alcune decine di morti nello stesso momento e sono emotivamente più coinvolgenti.
Quindi si può affermare che “molte attività sono diventate aeroplani troppo complicati per essere pilotati da una persona sola”. D’altra parte la scienza medica è molto complessa: uno studio relativo a quarantunmila pazienti traumatizzati ha registrato “1.224 diverse diagnosi di lesione, per un totale di 32.261 combinazioni uniche”. Per fortuna si possono semplificare molte cose esaminando i segni vitali rappresentati da quattro valori fisiologici. I segni vitali sono una forma elementare di checklist che viene verificata dagli operatori di tutti gli ospedali e riguardano la temperatura corporea, le pulsazioni, la pressione sanguigna e il ritmo respiratorio.
Per quanto riguarda gli interventi chirurgici i membri dell’equipe devono “confermare esplicitamente di aver somministrato gli antibiotici [entro i sessanta minuti precedenti l’incisione], di disporre di sufficienti scorte di sangue, di avere a portata di mano le lastre e i referti delle analisi, di avere pronte all’uso eventuali strumentazioni speciali e così via”. Di solito “sono quattro i principali killer di cui la chirurgia arma involontariamente la mano in tutti gli ospedali del mondo: l’infezione, l’emorragia, l’anestesia insicura” e l’imprevisto derivante “dall’aprire il corpo di una persona e dal trafficarci dentro”.
Comunque le checklist possono riguardare un programma di operazioni o un programma di sottoposizioni riguardanti i compiti di comunicazione: i responsabili di un progetto possono affrontare nel modo migliore gli eventi inattesi e incerti, se si assicurano di far parlare determinati esperti tra loro, alla data X sull’argomento Y. Ma in molte professioni “la divulgazione è tutt’altro che assicurata, e spesso l’assimilazione dei cambiamenti è un processo che dura anni”.
In tutti i luoghi di lavoro se le persone si presentano e si conoscono per nome e “la possibilità di parlare al gruppo prima dell’avvio della procedura sembra attivare il senso di partecipazione e di responsabilità”, incoraggiando tutti i membri a dire la loro, facilitando la risoluzione dei problemi più o meno imprevisti. Si tratta del “fenomeno di attivazione” positiva documentato dallo psicologo Brian Sexton anche in ambito chirurgico (www.researchgate.net/profile/John_Sexton5). Naturalmente sono molto importanti anche le riunioni alla fine di ogni intervento o di ogni programma lavorativo, anche per ammettere i rischi di errore e gli eventuali errori.
Tutte le checklist migliorano le abitudini di tutti i professionisti e “anche la più elementare delle checklist” suddividono il potere decisionale tra i vari membri di una squadra di lavoro. Infatti in sala operatoria la responsabilità di dare il via all’operazione può essere affidata all’infermiera di sala o all’anestesista (dopo aver controllato e spuntato ogni voce della lista). Non basta essere altruisti, non basta essere bravi, non basta essere affidabili. Bisogna diventare disciplinati.
Per approfondimenti: http://atulgawande.com (in Italia ha scritto su Internazionale, nel 2014 è stato pubblicato un libro in inglese: Being Mortal. Medicine and What Matters in the End).
Nota statistica – In una sperimentazione della checklist di Atul Gawande in otto ospedali, in America, in Europa e in altri continenti, si sono ottenuti questi risultati: “il tasso di complicanze gravi tra i pazienti chirurgici degli otto ospedali era sceso del 36 per cento. I decessi erano diminuiti del 47 per cento… Le infezioni si erano ridotte quasi della metà. Il numero dei pazienti tornati in sala operatoria dopo il primo intervento in seguito a emorragie o ad altri problemi tecnici era diminuito di un quarto” (p. 157). La sperimentazione ha poi dato origine alla checklist adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Appendice – I vari livelli di comunicazione mirata hanno fatto la differenza. Gawande ha stabilito tre “punti attesa” con i controlli necessari prima di passare alla fase successiva: “prima dell’anestesia, prima dell’incisione e prima di uscire dalla sala operatoria”. Di solito la verifica di una sua checklist non dura più di un minuto e prende in esame da cinque a nove voci contenute in una sola pagina. Una checklist può essere di “esecuzione e conferma”, e riguarda ogni singolo operatore che ripassa lo svolgimento delle sue attività molto spesso da solo, oppure può essere di “lettura ed esecuzione”, quando i membri del team eseguono una manovra e spuntano la voce in successione come si fa con le ricette. Però “il fine ultimo non è spuntare delle caselle: è abbracciare una cultura di disciplina e di lavoro di squadra” (p. 164).
Esistono anche le checklist d’emergenza e molte pratiche mediche hanno “livelli di rischio e di errore pari a quelli degli interventi chirurgici. Basti pensare ai trattamenti per gli infarti, per gli ictus, per le intossicazioni da farmaci, per le polmoniti, per le insufficienze renali, le convulsioni”.
Le autopsie rivelano una diagnosi sbagliata della morte nel 40 per cento dei casi. Nonostante l’evoluzione tecnologica questa percentuale risulta invariata a partire dal 1938 (George Lundberg).
In tutte le nazioni servirebbe un’Agenzia per l’Innovazione dei Sistemi Sanitari, un’Agenzia per la Ricerca e l’Eliminazione degli Errori Sanitari e un Ente per la Progettazione delle Checklist. Per alcuni approfondimenti statistici internazionali: www.gapminder.org.