di Jérome Roos – 6 dicembre 2014
Lo sciopero della fame di un detenuto anarchico e la reazione nelle strade stanno rialimentando conflitti profondamente radicati e di lunga data nella società greca, risalenti al 2008, al 1973 e al 1944. E’ evidente che i giorni dell’innocenza sono finiti.
Di recente le strade greche sono state relativamente tranquille. Dopo quattro anni di devastante depressione economica e di continua repressione statale, il fervore rivoluzionario che un tempo aveva animato mobilitazioni spettacolari nei primi anni della crisi ha ceduto a un diffuso senso di scoraggiamento. Ma ci sono segni che oggi questo può cambiare. Studenti e anarchici si sono mobilitati in forze nelle settimane recenti per dimostrare la loro solidarietà a Nikos Romanos, il detenuto anarchico che è in sciopero della fame dal 10 novembre.
Ma la lotta di Nikos e la reazione nelle strade sono cariche di significato simbolico e di echi storici. In realtà il mese di dicembre ha da tempo fatto emergere il meglio della resistenza greca, e il peggio in termini di reazioni dello stato. Sei anni fa, il 6 dicembre 2008, due agenti della polizia speciale sono entrati nel quartiere di Exarchia – la ben nota roccaforte anarchica di Atene – e, dopo un breve alterco con un gruppo di adolescenti, hanno assassinato il quindicenne Alexis Grigoropoulos con un colpo fatale al cuore. Il destino ha voluto che Nikos fosse là quella sera. Alexis era il migliore amico. Gli è morto tra le braccia.
L’assassinio di Alexis ha scatenato un mese di intense rivolte nelle strade greche. Scuole, università ed edifici vuoti sono stati occupati in tutto il paese e assemblee popolari sono spuntate nei luoghi più inattesi. Il giornale dell’establishment Kathimerini ha parlato delle rivolte del dicembre 2008 come del “peggio che la Grecia ha visto dal ripristino della democrazia nel 1974”. In quei giorni è comparsa una scritta sinistramente profetica su un muro ateniese, una scritta che doveva far presagire l’intenso malcontento sociale e le dimostrazioni di massa che sarebbero seguite alla crisi del debito del 2010-12. Diceva semplicemente: “Siamo un’immagine del futuro”.
Quel futuro distopico è oggi. Il 6 dicembre saranno esattamente sei anni dall’assassinio di Alexis e il miglior amico di Alexis, Nikos Romanos, lo trascorrerà in ospedale, se sarà fortunato. Nikos ha smesso di mangiare il 10 novembre per protesta contro il rifiuto delle autorità di riconoscergli il diritto legale a un permesso per motivi di studio. I suoi medici avvertono che è in condizioni critiche e potrebbe soccombere in qualsiasi momento per una crisi cardiaca o un blocco renale. Il governo ha impartito al personale dell’ospedale di sottoporlo ad alimentazione forzata, ma i medici si sono giustamente rifiutati. Mentre la salute di Nikos si deteriora rapidamente, le strade stanno diventando sempre più infiammabili, specialmente in previsione della marcia annuale di commemorazione di Alexis, prevista per sabato.
Martedì sera, feroci scontri sono scoppiati nel centro di Atene dopo che più di mille persone hanno marciato attraverso la città in solidarietà con Nikos e con quattro compagni anarchici che recentemente si sono uniti al suo sciopero della fame. Le immagini di auto incendiate a Exarchia hanno indotto molti a chiedersi se possa essere inevitabile una replica del 2008 se lo stato non cederà presto alle richieste di Nikos. La polizia antisommossa ha reagito con i soliti lacrimogeni e manganelli, ma quelle che sono state realmente preoccupanti sono state notizie successive che almeno dieci detenuti erano finiti in ospedale per gravi ferite, inclusi arti e costole rotte. Due parlamentari di Syriza che sono corsi al comando della polizia hanno trovato il sesto piano dell’edificio “coperto di sangue”.
In un altro eco storico, gli scontri di martedì si sono di nuovi concentrati al cancello d’ingresso del Politecnico di Atene in via Stournari, il luogo esatto della rivolta studentesca del 1973 che alla fine portò alla caduta della giunta militare. Allora la dittatura inviò i carri armati ai cancelli dell’università e piazzò cecchini sui tetti che successivamente aprirono il fuoco sui dimostranti in basso, uccidendone dozzine. Molti degli studenti e disoccupati di oggi hanno genitori che parteciparono alla rivolta del Politecnico e c’è una sensazione diffusa che la nuova generazione debba “sollevarsi di fronte alla sfida dei nostri tempi”, così come i loro genitori fecero negli anni ’70.
Ma le origini storiche della repressione statale e dello strisciante fascismo odierno possono essere fatte risalire a un altro dicembre fatale, il Dekemvriana del 1944. Mercoledì 3 dicembre sono trascorsi esattamente settant’anni da quando tale violenza scoppiò ad Atene in seguito agli ordini del comandante britannico tenente generale Ronald Scobie e del primo ministro provvisorio Georgios Papandreou (padre dell’ex primo ministro Andreas Papandreou e nonno dell’ex primo ministro George Papandreou) di disarmare i partigiani dell’Esercito di Liberazione Nazionale greco (ELAS) che aveva appena liberato il paese dall’occupante nazista.
Con l’elemento più vasto della base dell’ELAS costituito da membri del Partito Comunista Greco (KKE) che contava almeno 50.000 uomini in armi nelle campagne, i britannici temevano che i comunisti potessero marciare su Atene e impossessarsi del potere statale e allineare la Grecia all’Unione Sovietica, minacciando gli interessi imperiali britannici nel Mediterraneo. Così quando 200.000 cittadini si riversarono nelle strade per contestare la decisione di disarmare i partigiani le truppe britanniche complottarono con simpatizzanti nazisti per aprire il fuoco sulla folla pacifica, uccidendo almeno 28 civili disarmati. Nel mese successivo migliaia di membri della sinistra furono uccise e ventimila altri furono deportati in campi d’internamento su isole greche e in tutto il Medio Oriente.
Inutile dirlo, l’anno 2014 non è nel il 2008 né il 1973 né il 1944. Ma gli echi del passato risuonano nel presente per creare, ancora una volta, un’immagine sinistra del futuro. Diversamente da altrove in Europa, lo stato greco non è mai stato realmente purgato dei simpatizzanti nazisti dopo la guerra. Dopo la sconfitta dei tedeschi, Papandreou e i britannici si schierarono con elementi della dittatura di Metaxas, che aveva aiutato e favorito l’esercito nazista occupante, per prevenire una presa comunista del potere. Ciò creò la scena per la sanguinosa guerra civile che durò fino al 1949 e che, a sua volta, preparò il terreno per la Dittatura dei Colonnelli, una generazione dopo. Le cicatrici della guerra civile e della giunta percorrono ancor oggi la società greca, costituendo la principale linea di faglia del conflitto politico, lungo la quale si esprime l’intensa animosità tra destra e sinistra.
Persino oggi i discendenti di Metaxas, dei simpatizzanti dei nazisti e dei colonnelli mantengono il controllo di uno stato profondamente persistente, in misura più importante nella polizia, nell’esercito e nella magistratura. In questo senso, come hanno appena segnalato Ed Vuillamy e Helena Smith in un’eccellente inchiesta per The Observer, i giovani ribelli del 2008 sono stati i nipoti del partigiani del 1944 e i figli degli attivisti studenteschi del 1973. E così la lotta di lungo corso contro la repressione statale e il fascismo strisciante è condotta nella Grecia del 2014, devastata dalla crisi. Nessuno può predire se le tensioni sismiche faranno nuovamente sì che le linee di faglia eruttino in un’esplosione sociale. Il Politecnico di Atene è già stato occupato, ma i prossimi giorni diranno quanto in là può spingersi la mobilitazione.
Per il momento tutto ciò che sappiamo è che il mese di dicembre ha da lungo tempo espresso il meglio della resistenza greca e il peggio della reazione dello stato. Se la prima si solleverà contro le sfide dei tempi, la seconda certamente non può restare indietro. Come ha detto un attivista greco dopo la repressione della polizia a Piazza Syntagma nel giugno del 2011: “E’ evidente che si giorni dell’innocenza sono finiti”. Non rimane altro che la lotta.
Jèrome Roos è dottore di ricerca in Scienze Politiche e Sociali presso l’Istituto Universitario Europeo e redattore fondatore di ROAR Magazine. Seguitelo su Twitter.
Fonte: https://zcomm.org/zcommentary/could-greece-be-on-the-verge-of-another-social-explosion/
Originale: TeleSUR English
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0