Presentato al Festival di Cannes, Jimmy’s Hall è l’ultimo film di Ken Loach e racconta una storia vera ambientata nell’Irlanda degli anni Venti e Trenta: nel 1921 Jimmy Gralton è costretto a lasciare la sua terra minacciata dalla guerra civile e passa dieci anni negli Stati Uniti. Ritorna per aiutare l’anziana madre a mandare avanti la fattoria di famiglia e i giovani del paese gli chiedono di riaprire la sala che un tempo ospitava in uno sperduto capannone di campagna incontri di pugilato, letture di poesie, serate danzanti e altre attività culturali e politiche. Jimmy dapprima esita, poi cede alle richieste e riapre il locale con l’aiuto degli amici della contea di Leitrim.
E qui ricominciano i guai: i nemici di un tempo – la Chiesa, i politici e i proprietari terrieri – non gradiscono l’attivismo e l’apertura di Jimmy e temono quel luogo dove la gente si incontra al di fuori del loro controllo. Diffidano del jazz, la musica peccaminosa da lui portata dagli Stati Uniti e del lindy hop, un ballo acrobatico e sensuale inventato a Harlem, che nel locale di campagna si affiancano tranquillamente alle danze tradizionali irlandesi. Il parroco pone i fedeli davanti a una scelta: o stanno con la Chiesa, o con Jimmy l’Anticristo e la sua sala. I proprietari terrieri non possono sopportare l’aperta opposizione agli ingiusti sfratti dei fittavoli e la denuncia dei loro privilegi. Quello di Jimmy e dei suoi amici è un esempio pericoloso, che va stroncato al più presto, così come l’unione tra poveri cattolici e protestanti che a Belfast superano le differenze di religione per rivendicare gli stessi diritti.
La situazione precipita, la sala viene distrutta e Jimmy viene espulso senza processo dalla terra dov’è nato come “immigrato clandestino”, proprio come l’attivista inglese al centro della protesta di Belfast. Non tornerà mai più in Irlanda.
Raccontata così potrebbe sembrare una storia deprimente, ma la magia e l’arte di Ken Loach regalano invece momenti commoventi, appassionanti e ispiratori. I temi sono quelli su cui il regista inglese è già tornato tante volte: l’unione della gente comune contro soprusi e ingiustizie, l’amicizia e il sostegno reciproco, il ruolo dell’educazione e della cultura per aprire la mente e scoprire nuovi orizzonti, la coerenza mantenuta anche pagando un prezzo altissimo, l’ipocrisia e la brutalità dei potenti e della polizia al loro servizio. Un elemento in particolare spicca sugli altri: la gioia di vivere, il canto, la danza e la musica come fattori rivoluzionari e non a caso tanto osteggiati dal cupo parroco e dal padre reazionario che picchia la figlia perché frequenta questa specie di centro sociale ante litteram.
Nella scena finale, quando Jimmy viene portato via dalla polizia, i giovani del paese lo inseguono in bicicletta in un addio straziante, ma anche pieno di speranza: la promessa di “continuare a ballare” va ben al di là del semplice divertimento e diventa l’essenza di un messaggio di impegno e di cambiamento in cui la lotta alle ingiustizie si unisce all’allegria e alla ricerca di libertà.