“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”
Sono le parole di Franco Arminio, tratte dal libro Geografia commossa dell’Italia interna, a restituirci intensamente e profondamente lo spirito di quelle esperienze di rivoluzione che appartengono al quotidiano di contadini, agricoltori e cittadini che non si arrendono alle logiche barbare e indiscriminate del consumo indifferenziato, non solo di prodotti, ma più ancora di valori, tempo, beni comuni. Esperienze di r-esistenza di cui possiamo leggere nella raccolta Bioresistenze, pubblicazione a cura di Guido Turus edita da Esedra, ma anche progetto proposto da Mo.V.I. assieme a Confederazione Italiana Agricoltori per raccontare di persone che, dal nord al sud della nostra penisola, coltivano progetti e sogni così come terreni e si assumono la responsabilità di operare scelte politiche nel senso più autentico.
Quale? Quello di prendere in carico, a livello individuale e collettivo, la propria democrazia, con l’obiettivo di tutelare il paesaggio, curare la fertilità della terra, coltivare cibi sani, presidiare il territorio e difendere il proprio presente e il proprio futuro dai processi di degenerazione finanziaria e sociale, dalla perdita di biodiversità, dagli scempi ambientali, dalla dittatura delle multinazionali, dalle mafie, dall’appiattimento della cultura, delle tradizioni, del gusto, delle varietà, dei saperi. Perché non è più sufficiente limitarsi ad acquistare a km zero prodotti biologici o biodinamici. Occorre andare oltre, schierando un’opposizione responsabile di fronte a quei meccanismi insidiosi che incidono a livello globale sulle vite di ognuno. Per parlare anche di diritto al cibo che, prospetticamente, si realizzerà solo attraverso la piccola e media proprietà contadina della terra, le filiere alimentari eque e con il più ridotto numero di intermediari, la qualità e la sicurezza degli alimenti, i prezzi giusti e trasparenti per il produttore e per il consumatore, le regole condivise e uguali in tutti i Paesi, uno stile alimentare sobrio, attento agli sprechi e rispettoso della popolazione animale così come dei consumi energetici.
E la frontiera dell’agricoltura futura corre proprio sul ciglio dei biodistretti, modelli di sviluppo equo e sostenibile caratterizzati dal coinvolgimento delle comunità locali in un’ottica pienamente partecipativa: un’area geografica che vede il lavoro congiunto di agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni per la gestione sostenibile delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo. L’attivazione della prima di queste esperienze data 2009, grazie all’Associazione italiana per l’agricoltura biologica nel Cilento. Sapendo che oggi ne sono stati attivati altri 9 dobbiamo, da un lato, riflettere sulle difficoltà di far mettere radici a esperienze sicuramente positive che necessitano però della collaborazione di ognuno per garantirne il funzionamento e il successo, ma possiamo, dall’altro lato, decisamente rincuorarci della loro diffusione, considerato che non tutte le esperienze significative messe in atto in questa direzione rientrano nei biodistretti ma, di fatto, si avvicinano molto per le pratiche attuate.
Pensiamo ad esempio ai comitati della rete Pesticidi No Grazie o ai recenti provvedimenti adottati nei Comuni di Malles Venosta (Alto Adige) o di Vallarsa (Trentino), quest’ultimo particolarmente interessante perché inverte di fatto l’onere della prova… Cosa significa? Significa che, se per la legge è chi pratica agricoltura biologica a dover certificare il “non utilizzo” di sostanze tossiche e prevedere, a proprie spese, delle fasce di rispetto per proteggere i propri terreni da eventuali contaminazioni, in questo caso il Consiglio comunale di Vallarsa ha deciso invece di regolamentare le coltivazioni agricole e gli allevamenti locali sulla base del principio “chi inquina paga”. Coltivazioni e allevamenti non biologici saranno quindi ammessi soltanto se certificati e condotti con modalità rispettose della salvaguardia della qualità della vita e dell’ambiente. Un importante passo avanti non solo per le conseguenze in termini di sostenibilità ambientale, ma anche per il coinvolgimento dell’amministrazione locale e per la coesione sociale che genera tra gli attori che partecipano alla filiera biologica. Atti che, come leggiamo appunto nella prefazione di Bioresistenze, non devono in alcun modo essere letti come opposizione al rinnovamento e al progresso. Essi rappresentano piuttosto un impegno concreto e trasversale a cambiare l’ordine esistente, a resistere, semplicemente perché si tratta di azioni buone e, soprattutto, giuste.