Indicato in campagna elettorale e più volte ribadito successivamente alla vittoria del settembre 2013, l’impegno del primo ministro Tony Abbott per arrivare a includere nella costituzione nazionale il riconoscimento della popolazione aborigena è stato rilanciato con particolare passione. “Sono preparato a sudare sangue per questo” ha detto Abbott la notte scorsa. “Questa causa non è meno importante di altre che impegnano il governo”.
Nonostante i passi avanti verso il riconoscimento dei diritti alla terra e alla propria tradizione della popolazione aborigena, 470.000 individui su 23 milioni di australiani, assai frammentata e diffusa territorialmente, la carta fondamentale dello Stato, scritta oltre un secolo fa, non la riconosce come popolazione originaria del paese e potenzialmente le nega, come pure ad altri gruppi, il diritto di voto.
Dopo uno storico riconoscimento, cinque anni fa, delle colpe della popolazione bianca verso quella aborigena, incluso l’allontanamento precoce dei bambini dalle madri per crescerli in orfanotrofi o affidarli a famiglie non aborigene, lo scorso anno il parlamento di Canberra ha riconosciuto gli aborigeni come popolazione originaria dell’immensa isola-continente.
Passi significativi, ma che non hanno sostanzialmente cambiato la condizione di emarginazione e di povertà delle comunità originarie. L’inserimento del loro ruolo e dignità nella Costituzione aprirebbe le porte alla piena integrazione legale. Questo potrebbe avvenire attraverso un referendum nazionale di cui il governo non ha ancora proposto la data ma che potrebbe cadere il 27 maggio 2017, 50° anniversario del referendum che consentì agli aborigeni di essere inclusi nei censimenti.