Venerdì 12 dicembre c’è lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil. Gli obiettivi, ribaditi anche in questi giorni da Susanna Camusso, sono modificare il Jobs Act e la legge di stabilità, cioè praticamente tutta la politica economica e sociale del governo Renzi.
Obiettivi senz’altro in linea con le mobilitazioni di questo autunno e tecnicamente possibili, poiché la legge di stabilità è tuttora in discussione e al Jobs Act mancano ancora tutti quei decreti attuativi che scriveranno la legge vera e propria (vedi Liberi di licenziare). Eppure, in giro si sentono molti dubbi, tra lavoratori e cassintegrati, precari e disoccupati, non tanto rispetto agli obiettivi in sé, ma piuttosto rispetto alla loro sostenibilità e credibilità politica. Insomma, molti si chiedono a cosa serva questo sciopero.
Dubbi che nascono da alcune domande rimaste senza risposta, tipo come mai lo sciopero era stato proclamato in una data in cui prevedibilmente il Jobs Act sarebbe già stato approvato? Oppure, come si pensa di poter raggiungere l’obiettivo ora, considerato che non era stato raggiunto prima del 3 dicembre, quando la tensione sociale e lo scontro politico erano ben più intensi?
Sono domande vere e dubbi giustificati, che inevitabilmente fanno pensare alle tante, troppe manfrine dell’epoca concertativa, dove prima si gridava alla rivolta di piazza per poi firmare le peggior cose in cambio di un piatto di lenticchie e di qualche privilegio per l’apparato. Anzi, ultimamente non si facevano neanche più le manfrine. E così, di fronte a questo 12 dicembre in molti non sono convinti. Ed è curioso notare che non sembrano crederci troppo neanche tanti funzionari e dirigenti della stessa Cgil, considerati i molti silenzi di questi giorni e il basso livello di mobilitazione di queste ultime settimane, esclusi ovviamente la Fiom e pochi altri settori.
Eppure, sbaglia chi pensa che siamo di fronte alla solita manfrina per riconquistare un posto a tavola (per l’organizzazione) a qualunque prezzo (per i lavoratori). E lo dico non perché pensi che siano cambiate le teste dei gruppi dirigenti, ma per il semplice fatto che è cambiato il contesto, lo scenario. In altre parole, la concertazione non c’è più, non serve più. Non ci sono più i margini economici, non ci sono più i rapporti di forza e non c’è più la volontà da parte del potere economico e politico.
Renzi non ha inventato nulla, sta semplicemente portando alle sue logiche conseguenze un processo in atto da tempo. Insomma, vuole fare quello che non è mai riuscito a Berlusconi e che invece avevano realizzato Reagan con i controllori di volo nel 1981 e la Thatcher con i minatori quattro anni più tardi, cioè imporre ai sindacati una sconfitta secca e strategica per poter poi ridisegnare l’insieme delle relazioni industriali, indebolire la forza contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici e, di conseguenza, abbassare ulteriormente i livelli salariali.
La situazione è questa e oggi la Cgil è costretta quasi suo malgrado a lottare, a praticare il conflitto. Non aveva fatto uno sciopero generale contro i governi Monti e Letta e contro la Riforma Fornero e ora lo proclama contro un governo presieduto dal capo del partito al quale è iscritto larga parte del gruppo dirigente della Cgil. E non può contare neanche sulla sponda della cosiddetta “sinistra del Pd”, piena zeppa di ex dirigenti sindacali, compreso l’ex segretario generale, che si è letteralmente liquefatta di fronte alla prospettiva di perdere qualche poltrona.
Appunto, lo scenario è cambiato, radicalmente, e questo apre una contraddizione enorme. La crisi sociale è micidiale, la disoccupazione si fa sempre più di massa, chi lavora non arriva alla fine mese e la Cgil, come organizzazione, deve lottare per la sua sopravvivenza. Ma i gruppi dirigenti, centrali e periferici, del sindacato non sono attrezzati, sono cresciuti nella scuola della concertazione e, a parte quelli della Fiom e poche altre eccezioni, non sanno più come si fa conflitto. Anzi, faticano persino ad immaginarselo.
Il 12 dicembre e le sue ambiguità e contraddizioni si spiegano così. Tuttavia, non si tratta della solita manfrina, ma è appunto un’altra cosa, è una situazione nuova, magmatica e in attesa di definizione. Siamo in un momento sociale e politico di transizione e di gestazione di qualcosa, che potrà essere positivo o negativo, dipende. Anche e soprattutto per questo sarebbe sbagliato non esserci il 12 dicembre –così come negli altri giorni di mobilitazione di questo periodo- e non stare in mezzo ai lavoratori, precari e studenti che saranno in piazza. Perché quello che verrà non dipende dal fato, ma come sempre dalle azioni degli uomini e delle donne.
Infine, eccovi gli appuntamenti di piazza del 12 dicembre a Milano:
ore 9.30, P.ta Venezia, corteo Cgil e Uil
ore 9.30, L.go Cairoli, corteo degli studenti medi e universitari (Rete Studenti, Casc, UdS, CCS, Collettivo Bicocca, Progetto Dillinger ecc.), che scenderanno in piazza non solo contro il Jobs Act, ma anche contro il progetto governativo della Buona Scuola.
Per quanto riguarda le iniziative del 12 e 13 dicembre legate al 45° anniversario della strage di piazza Fontana, il cui ricordo sarà comunque presente nelle mobilitazioni dei lavoratori e degli studenti, vedi il nostro post A 45 anni dalla strage di piazza Fontana, contro il fascismo di ieri e di oggi.