“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli
abbiamo imparato a nuotare come i pesci
ma non abbiamo ancora imparato
a vivere insieme come fratelli”
Martin Luther King
Settembre 2014 – Forse l’Italia non è un paese per stranieri. Forse neanche per vecchi. In realtà neanche i giovani ci stanno troppo bene. A pensarci bene anche gli operai, gli insegnanti e gli studenti a volte vorrebbero ribellarsi.
Me ne stavo seduta comodamente in poltrona mentre il telegiornale passava le immagini dell’ennesimo sbarco di africani. Dietro la grata di un centro di accoglienza siciliano ragazzi e uomini con gli sguardi lucidi e smarriti se ne stavano in piedi con i loro sacchetti di plastica tra le mani. Miseri bagagli di un’intera esistenza. Giovani con gli occhi che pareva avessero già visto tutto. Ma poi ridevano: avevano gareggiato, come in una staffetta, contro la morte e l’avevano battuta. Qualunque cosa sarebbe arrivata dopo, loro ce l’avevano fatta e il dopo sarebbe stato nulla in confronto. Centinaia, migliaia di persone dirette verso chissà quale terra promessa, alla ricerca del proprio posto in questo deserto sovrappopolato che è il mondo.
Benvenuti in Italia fratelli. Il politico di turno si presenterà ai signori di Bruxelles col solito biglietto da visita della tolleranza verso gli immigrati, con le solite idee inconcludenti, quando la tolleranza dovrebbe essere una fase di passaggio e non una condizione perenne.
Mi auguro che incontriate solo brava gente, di quella ce n’è tanta. Non i soliti ideologisti che si lasciano andare ai loro istinti primordiali. Quelli vi diranno che noi siamo la regola, la normalità… Noi bianchi. Noi italiani. Noi cattolici. Noi democratici. Quello che non vi diranno è che ciò che non rientra in quell’egoistico ‘noi’ è solo altro, diverso e basta, niente discussioni. Abbasseranno lo sguardo per non incrociare il vostro. Questi stranieri che continuano ad arrivare nel nostro paese cosa vogliono da noi? Dove pensano di andare a lavorare? Chi non sa trovare una risposta giusta non ha coscienza del mondo nel quale vive. A forza di incasellare eventi e persone in qualche luogo sicuro della nostra mente, prima o poi finiremo per sbagliare posto.
Nel distorto ordine mentale degli abitanti di questo paese, nell’Italia delle occasioni perse, essere nero è ancora un difetto. In Africa c’è la fame, qui c’è la noia. In Africa c’è la guerra, qui c’è chi si rincoglionisce l’intelligenza assoggettandola ai propri ritmi frenetici, imprigionando il pensiero e liberandolo solo in cambio di una cauzione eterna da saldare in comode rate mensili.
Forse avremmo tutti qualcosa da imparare da questi uomini fieri che hanno sfidato la morte e l’hanno vinta, almeno per una manciata di giorni. Il loro sogno, anche se sarà breve, se lo sono sudato. Dovremmo ricominciare anche noi a sognare, come fanno gli africani. Dovremmo comprendere che aiutare loro significherebbe aiutare noi stessi. Facciamolo, o un giorno ci sveglieremo scoprendo che anche noi, per qualcuno, fuori dalle nostre confortevoli abitazioni, siamo “altro”.
Di Agatha Orrico
Dedicato a: Ibrahima, Alfusseni, Dame, Soleymane, Pamusa, Alfa, Eleiman, Moussah, Ousmane, Ali, Devidson e Joseph (e Kingsley).