Il 7 novembre 2014, mentre ero in visita a Kabul, il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha osservato che la NATO lancerà presto un nuovo capitolo, una nuova missione di non-combattimento a Kabul. È però difficile però individuare nuovi metodi, dato che la NATO stessa si impegna a sostenere i combattimenti dalla parte delle forze afgane.

In un discorso tenuto a Bruxelles il 29 ottobre, Stoltenberg ha elogiato gli Alleati della NATO e le nazioni sue partner di tutto il mondo dichiarando che per oltre un decennio “sono stati fianco a fianco con l’Afghanistan”. Secondo Stoltenberg, “questo sforzo internazionale ha contribuito a un futuro migliore per gli uomini, le donne e i bambini afghani”. La retorica della NATO e del Pentagono sostiene regolarmente che gli afghani hanno tratto vantaggio dai 13 anni di guerra di Stati Uniti e NATO, ma le dichirazioni di altre agenzie complicano queste affermazioni.

L’UNAMA (Missione di aiuto delle  Nazioni Unite in Afghanistan) ha scoperto che, nei primi sei mesi del 2014, per i civili afghani, i combattimenti tra le parti in conflitto sono stati la principale causa di morte e di ferimento, superando in questo gli ordigni esplosivi improvvisati (IED).

Questa “crescente spirale inquietanteha portato il numero di bambini e di altri afghani vulnerabili morti e feriti dall’inizio dell’anno ad aumentare drammaticamente e sta dimostrando di essere devastante“.

Le rassicurazioni di Stoltenberg riguardo al contributo positivo della NATO alla guerra civile in Afghanistan sono indebolite anche da un rapporto di recente diffusione di Amnesty International, che esamina le operazioni della NATO e dell’ISAF. Esse includono attacchi aerei, attacchi con i droni e raid notturni, che hanno causato tutti la morte  di civili e hanno implicato anche torture, sparizioni di persone e occultamenti di notizie. Il rapporto intitolato Left in the Dark (Lasciati nell’oscurità), offre dieci agghiaccianti e orripilanti esempi dettagliati di fatti avvenuti tra il 2009 e il 2013.  Amnesty International afferma che due di quei casi “implicano prove abbondanti e convincenti di crimini di guerra”.

Vorrei che il comandante della NATO si fosse unito agli Afghan Peace Volunteers (APVs) in Afghanistan, in quella stessa settimana in cui hanno visitato quel progetto straordinariamente sostenibile che si chiama “Emergency”. Questa rete di ospedali e ambulatori creata dagli italiani è stata particolarmente importante per aver effettivamente salvato e migliorato la vita del popolo afgano negli scorsi 13 anni, rifiutando al tempo stesso qualsiasi forma di guerra o uso di armi all’interno delle sue strutture.

All’entrata di qualsiasi ambulatorio e ospedale di Emergency, un cartello alla porta dice: “Le armi non sono permesse”. Accanto al logo di Emergency c’è anche un logo che proibisce le armi. Sebbene operi in una delle più intense zone di guerra al mondo, il personale di Emergency, comprese le guardie addette alla sicurezza, rifiuta l’uso delle armi all’interno delle sue strutture.

Yusof Hakimi, l’infermiere responsabile dell’Unità di terapia intensiva (ICU) all’ospedale di Kabul, ci ha assicurato che la proibizione è totalmente rispettata. Ai bambini è vietato anche portare nei locali dell’ospedale una pistola giocattolo di plastica! Nessuno può indossare indumenti mimetici, “neanche il presidente dell’Afghanistan può entrare nei nostri ospedali con un’arma!”, dice Luca Radaelli, il coordinatore medico dell’ospedale di Emergency a Kabul. E aggiunge che non è facile mantenere una struttura dove le armi sono proibite, “però – spiega – tutti capiscono gli scopi e rispettano le regole”.

Hanno imparato modi di fornire sicurezza anche senza le armi. Uno di questi comprende un assoluto impegno alla neutralità. Non stanno mai dalla parte di un determinato gruppo nei conflitti che flagellano l’Afghanistan. In realtà non chiedono neanche se un paziente appartiene a una parte o a un’altra.

La maggior parte delle organizzazioni non governative in Afghanistan fornisce al suo personale veicoli pesantemente armati per i viaggi, ma le ambulanze disarmate di Emergency attraversano zone di guerra, in molteplici direzioni, in tutto il paese. Non abbiamo guardie armate“, dice Luca. Non abbiamo auto antiproiettile. E non cambiamo i nostri percorsi, perché – spiega con tono chiaro e impassibile – non siamo mai stati presi di mira“.

Luca dice che Emergency si guadagna e mantiene la sicurezza tramite la sua reputazione. Non facendo pagare l’assistenza sanitaria ai pazienti, non può essere accusata di trarre dei profitti. Essi mantiengono anche forti rapporti diplomatici con ogni gruppo interessato dal loro lavoro. Emergency spiega sempre la sua politica di mantenere un’indipendenza neutrale a chiunque abbia a che fare con loro, compresi nuovi operatori, mediatori, funzionari del governo locale e capi religiosi. “Se si fornisce qualcosa di buono, qualcosa che richiede abilità e che sia gratuito – aggiunge Luca – non c’è bisogno di avere protezione. La gente non avrà modo di arrabbiarsi”.

Se la NATO e gli Stati Uniti prendessero una frazione di quello che hanno speso per proteggere dalla violenza questa regione (il Pentagono ha richiesto 58,5 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2015 in Afghanistan) e li spendessero invece per aiutare le persone danneggiate dalla guerra, i progetti nonviolenti come Emergency potrebbero iniziare a funzionare? Ci sono numerose soluzioni ovvie ai problemi dell’Afghanistan che i paesi NATO potrebbero realmente considerare, o quantomeno tentare, se l’alleanza fosse davvero lì per aiutare a migliorare le condizioni di vita degli afghani. Una soluzione potrebbe essere creare dei programmi di assistenza sanitaria simili a quelli creati da Emergency.

Tuttavia, Emergency non è in Afghanistan per indicare la giusta via d’uscita dal disastro a tutte le parti coinvolte, qui e all’estero, che difficilmente sembrano voler abbandonare i sentieri di odio suicida e ignoranza.

Secondo l’opinione di Luca, Emergency è semplicemente quello che dovrebbe essere un’istituzione sanitaria. “Nasce da un’idea molto semplice: fornire un servizio di alta qualità per tutti, senza pensare al profitto, ma soltanto alla salute dei pazienti. Che cosa c’è di tanto complicato?” chiede. Potremmo rivolgere la stessa domanda al  Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg: una nuova missione nonviolenta in Afghanistan, che rifiuti le armi e la guerra. Che cosa ci sarebbe di così complicato?

Kathy Kelly  (kathy@vcnv.org) co-coordina Voices for Creative Nonviolence. Si trova in Afghanistan con Afghan Peace Volunteers

Traduzione dall’inglese di Irene Tuzi per Pressenza

L’articolo originale può essere letto qui