Si è conclusa, da pochi giorni, la dodicesima edizione del Festival dell’Ottobre africano che ha toccato quest’anno 10 città italiane: oltre a Parma, dove il festival è nato 11 anni fa, anche Roma, Milano, Reggio Emilia, Torino, Napoli, Varese, Lecce, Bari e Crotone.
Africaeuropa ne ha parlato con il direttore e anima del Festival, Cleophas Adrien Dioma*
Quale bilancio si sente di fare di questa dodicesima edizione del Festival? Avete un’idea di quante persone siano state coinvolte in tutta Italia?
“Sinceramente non ho tenuto il conto dei tanti eventi organizzati nella varie città coinvolte e non so dare dei numeri. Ma come Ottobre Africano non abbiamo mai voluto fare un festival di massa, quanto puntare, invece, su piccoli eventi di qualità in cui la gente potesse incontrarsi, dialogare e, magari, iniziare un cammino di conoscenza”.
Siete dunque soddisfatti?
“Molto! Per noi è stata una sfida organizzare eventi in luoghi che non conoscevamo, ma ci siamo riusciti grazie alla collaborazione di persone che condividono la nostra passione per il continente africano. Nelle diverse città sono nati gruppi locali che hanno dimostrato di voler condividere questo progetto. Una rete che vorremmo consolidare”.
Il vostro festival ha sempre cercato di raccontare l’Africa partendo dal suo ricco patrimonio culturale. È questa la strada per superare certi stereotipi che riguardano il continente africano?
“Noi vogliamo soprattutto parlare di una cultura dell’incontro che è possibile anche in Italia. È stato bello vedere musicisti italiani suonare strumenti africani e farli loro, così come vedere tante persone che hanno imparato a vivere la cultura africana sotto una luce nuova. Il confronto e la valorizzazione delle diverse identità è il primo passo per favorire un percorso di integrazione. Io stesso se non mi fossi interessato e appassionato alla lingua e alla cultura italiana avrei trovato più difficoltà ad inserirmi”.
A guardare il successo della vostra manifestazione verrebbe da pensare che qualcosa stia realmente cambiando nel modo in cui in Italia si guarda all’Africa e agli africani. Poi bastano alcuni episodi – come l’epidemia di Ebola – per riaccendere istinti razzisti. Come è cambiata la realtà italiana in questi undici anni?
“Quello che cerchiamo di portare avanti è un percorso faticoso e lo sarà sempre, al di là del razzismo, perché l’incontro tra identità diverse è un processo complesso. Ma vedendo come da Parma l’Ottobre africano si sia diffuso, prima a Roma e poi in tante altre città, viene da pensare che qualcosa si stia muovendo. Non credo che l’Italia sia un Paese razzista; ci sono delle persone che sono razziste. Persone con cui dobbiamo interagire: per questo è importante avere delle occasioni per incontrarsi e dare l’opportunità agli africani di raccontarsi. Alla maggior parte degli eventi di Ottobre Africano non hanno partecipato solo studenti universitari che si occupano di Africa o addetti ai lavori, ma persone curiose che vengono attratte da un evento e poi magari tornano perché vogliono saperne di più. Quello a cui stiamo assistendo è un processo lento, in cui si procede un passo alla volta. E ogni passo fatto è per noi una vittoria”.
Spesso quando si parla di Africa in Europa si oscilla tra due estremi: l’Africa dei disastri (epidemie, guerre, povertà) e quella selvaggia e incontaminata degli esploratori e dei safari. Come uscire da questa dicotomia restituendo al continente africano un volto più aderente alla realtà?
“Prima di tutto dando la possibilità agli africani che vivono qui di raccontare qualcosa della loro terra. Guardiamo a quanto sta avvenendo in Burkina Faso: migliaia di persone sono scese in piazza contro un presidente che rifiutava di lasciare il potere. In Italia molti giornali hanno parlato di golpe, ma si tratta invece di una rivoluzione popolare. Eppure nessuno ha chiesto a qualcuno dei burkinabé che vivono qui di farsi aiutare a capire quanto stava avvenendo”.
Poi arriva l’epidemia di ebola e gli africani si ritrovano vittime di pregiudizi…
“Sinceramente non mi è mai capitato di veder associato il mio essere africano all’epidemia in corso, ma so che qualche caso è successo. Credo che una corretta informazione sia l’unico antidoto alla paura”.
Con un po’ di ritardo rispetto ad altri Paesi, anche l’Italia inizia a guardare all’Africa come un possibile continente delle opportunità. Quale ruolo può giocare in questo la diaspora africana?
“Quello di ponte tra l’Italia e i Paesi d’origine, grazie alla profonda conoscenza che i rappresentanti della diaspora hanno di entrambe le realtà. L’Italia rispetto ad altri Paesi europei ha un’eredità coloniale meno ingombrante e questo può rappresentare un’occasione in più per provare a creare qualcosa di nuovo e interessante”.
*Cleophas Adrien Dioma è uno scrittore e un documentarista italiano, nato in Burkina Faso nel 1972. Collabora come cronista per Internazionale, D di Repubblica, Solidarietà Internazionale. Vive a Parma. Ha fondato e dirige il festival Ottobre Africano a Parma.