Il conflitto tra stanziali e nomadi risale agli albori dell’umanità. A Caino ed Abele. Caino rappresentava l’anima sedentaria mentre Abele l’anima movens. Restrizione e libertà all’interno della stessa famiglia. Or bene: il conflitto giunge sino ai giorni nostri. Se studiamo con attenzione alcuni dei genocidi del ‘900 scopriremo, per esempio, che il conflitto tra hutu (prevalentemente contadini) e tutsi (prevalentemente pastori) ricalca questa dicotomia. Il marchio impresso da Dio sulla fronte di Caino si replica di generazione in generazione.
Il conflitto tra stanziali e nomadi è continuo. Spesso i primi “pieni di regole” vivono tra il campanile ed il municipio, a pochi passi da biblioteca e supermarket, mentre i secondi “con altre regole” sono confinati in periferie nascoste. La violenza e la bellezza degli ambienti vengono interiorizzati da entrambi e poi espresse anche violentemente all’incontro con gli altri.
Il conflitto c’è. E l’ha rappresentato bene, come sempre, Massimo Gramellini con il suo Buongiorno su la Stampa. Scrive: “A Borgaro, sobborgo di Torino sulla strada per l’aeroporto, la giunta di sinistra ha deciso di sdoppiare la linea numero 69. Un autobus salterà la fermata del campo rom, mentre un altro si limiterà a fare la navetta tra il capolinea e il campo. Di fatto la prima servirà i cittadini integrati e la seconda i nomadi”. Ciò è accaduto in risposta al teppismo di alcuni adolescenti del campo nomadi che hanno bruciato o tagliato i capelli ad alcune delle loro coetanee stanziali. Dagli articoli on line non si parla certo dei commenti sprezzanti delle figlie dei perbenisti stanziali e borghesi nei confronti dei nomadi. Probabilmente nessuno li ha sentiti. Perché probabilmente nessuno li ha espressi. Ma la verità narrata è sempre una parte. Quella vera è sempre sfaccettata.
Le associazioni o cooperative che lavorano a favore dell’integrazione hanno denunciato Gramellini per odio razziale, reo, probabilmente, di non aver condannato l’apartheid. Io, personalmente, sono contrario all’integrazione. Trovo essa stessa violenta. Sarei più per l’interazione (togliendo una “g”).
La scorciatoia è “separare gli autobus” mentre la via più lunga e faticosa è la “reciproca conoscenza”; l’organizzare momenti d’insieme: cinema, teatro, drammatizzazioni, visite, gite. Tutto ciò che favorisce l’interazione ma non divide ulteriormente il “noi e voi”. Tutto tranne il buonismo zuccheroso e stupido del “vogliamoci bene” o del “siamo tutti uguali” da rappresentazione di scuola materna che rimane tale anche nell’immaginario di adulti immaturi. Ma anche l’infinità d’ iniziative culturali che la politica può mettere in atto assieme all’associazionismo più avanzato può schiodare dal divano sia nomadi che stanziali? A fatica. Ipnotizzati ed inebetiti dallo stesso schermo che continua a rinforzare pregiudizi, mappe mentali, differenze. La fatica vera è andare oltre la propria pigrizia prima mentale e poi fisica. Mentale perché ci costringe a rivisitare le nostre certezze perché il vero sta solo nel dubbio per dirla con Leopardi e fisica perché ci costringe ad indossare le scarpe e depositare le ciabatte.
Il conflitto nomadi / stanziali è un’occasione unica per provare la fatica che fanno 72 popolazioni al mondo in 36 conflitti armati a trovare vie terze per “sortirne assieme”, per cercare di immaginare strade al fine di convivere in un determinato spazio. Sì, fatica. Perché è faticosissimo tentar di riconoscere le ragioni dell’altro; immedesimarsi; provare a dribblare i circuiti neuronali delle nostre mappe mentali che per ergonomia classificano, identificano, fotografano e rafforzano i pregiudizi.
La scorsa settimana mi arrivò una lettera a casa ove l’Università m’invitava a rispondere ad un questionario on line. Ci provai ma l’ultima domanda mi bloccò: “con quale frequenza i seguenti esempi di disordine urbano di tipo sociale sono presenti nel quartiere in cui vive?” E l’elenco riportava: tossicodipendenti, spacciatori, prostitute, barboni, ubriachi, mendicanti, venditori abusivi, nomadi, suonatori e giocolieri. Potremmo prendere voce per voce e destrutturarla al fine di comprendere quanto pericoloso e poco rappresentativo sia categorizzare seguendo le comode mappe mentali del pregiudizio. Analizzo solo un paio di “categorie” per motivi di spazio.
Prostitute. Credo che nel mio quartiere non vi siano prostitute per strada ma alcune accolgono in appartamento. Personalmente non ritengo siano solo loro a poter essere additate come “esempi di disordine urbano” in quanto anche i clienti perbenisti ed incravattati creano disordine urbano. Una statistica ci potrebbe dare un rapporto 1 a 4. Significa che ad ogni prostituta corrispondono almeno 4 “persone bisognose di affetto”. Non sono forse più queste che a tutte le ore affollano appartamenti e piazze a creare “disordine urbano”?
Nomadi. Nel quartiere ove abito vi sono nomadi suonatori – I Gabrielli – e ciò dimostra quanto dividere i suonatori, come categoria, dai nomadi sia già di per se una forzatura. Ma siamo proprio certi che il fuoriclasse sinti Andrea Pirlo e i Rom Zlatan Ibrahimovic e Sinisa Mihajlovic creino “disordine urbano”? Forse perché per vederli giocare bisogna mobilitare la celere a contenimento degli ultras? Che provengono per lo più da famiglie stanziali?
La categorizzazione, il pregiudizio sono facili; la convivenza, la conoscenza dell’altro è difficile. Quasi impossibile. Bisogna andare oltre noi stessi. Oltre le nostre stesse mappe mentali.
Fabio Pipinato