Cosa significa prendere gli Altri sul serio? Quali scenari si aprono quando si sceglie di abbandonare l’ipocrita professione della democrazia tra visioni del mondo, fondata sull’idea di un’unica natura oggettiva e di tante culture, per abbracciare e difendere la molteplicità dei mondi?
Queste sono alcune delle questioni che hanno mosso un gruppo di ricerca – che si esercita negli incontri e negli scontri tra antropologia, filosofia, etnopsichiatria e pensiero critico – a raccogliere e tradurre per la prima volta in lingua italiana una quindicina tra gli articoli più importanti della letteratura antropologica degli ultimi quindici anni. Mondi Multipli, nome del gruppo e dei volumi editi da Kaiak curati dalla filosofa e antropologa Stefania Consigliere, è un luogo di ricerca e di sperimentazione delle conseguenze ontologiche, epistemologiche, etiche, politiche ed esistenziali che derivano, appunto, dal prendere gli Altri sul serio.
Gli articoli selezionati sono stati distribuiti in due volumi, ai quali seguirà un terzo volume. Il primo, Oltre la grande partizione, indagando l’origine del mondo e del pensiero scientifico occidentale, invita al superamento di un’opposizione talmente familiare al nostro sguardo da essere invisibile e perciò capace di fuggire ogni critica radicale: quella fra natura (al singolare) e culture (al plurale). In questi testi gli autori mostrano al lettore come questa visione dicotomica sia il prodotto di un mondo specifico (quello occidentale). Tuttavia proprio questa dicotomia, che abbiamo ereditato e ci ha plasmati, è stata imposta su gran parte del pianeta come una “buona novella” creando un “occidente deterritorializzato”.
Essa prevede che ogni ente abbia una natura oggettiva e universale, accessibile solo alla conoscenza scientifica (o monopolio del paradigma scientifico capitalistico tecnocratico di stampo tecnocratico di stampo operativo- efficientista). Questo è il regno dei fatti, entro il quale si muovono le scienze cosiddette dure (biologia, fisica, astronomia, ecc.), cioè quelle che nel corso della storia si sono pensate separate dai soggetti, dai valori, dai desideri, dalle opinioni, dalle credenze, dalla cultura. Andare oltre la grande partizione significa cominciare a osservare l’Occidente sotto questa luce e insieme ripensare il suo rapporto con i mondi esterni ad esso, senza squalificare la loro veridicità e dignità.
Da qualche anno l’antropologia contemporanea parla di ontological turn, la riflessione e la sperimentazione di altre possibilità in altri contesti umani: vi sono ontologie, mondi, cosmovisioni, valori e modi della conoscenza diversi, da prendere tutti sul serio, ovvero da apprendere nella loro coerenza e profondità, senza pretendere di valutarli in base a un unico criterio – quello cosiddetto scientifico – o di metterli in gerarchia fra loro. La prospettiva può essere percepita come straniante e vertiginosa: si tratta di rendere evidenti, ridiscutere e sottoporre a critica tutti quei punti di riferimento sempre dati per scontati.
Come pensare, allora, l’opposizione fra natura e cultura? Se il primo volume offre alcune risposte per tale quesito, il secondo, Lo splendore dei mondi, si dedica all’etnografia intesa come “esperienza di pensiero” votata alla scoperta e alla sperimentazione dei mondi altri. Gli articoli del secondo volume quindi, attraverso la riflessione su quelle dinamiche di antropopoiesi (di costruzione degli esseri umani) specifiche di ogni mondo, permettono di pensare in maniera nuova alcune questioni fondamentali: che cos’è un corpo-che-conosce? Quali sono le diverse modalità di costruzione dei soggetti? Da dove vengono i rischi di crisi e desoggettivazione?
Il terzo volume (in lavorazione), La storia a contrappelo, riguarderà il molteplice interno all’Occidente stesso, quella vasta pluralità di voci e di piste che sono state eliminate e marginalizzate dal pensiero dominante. Una risalita archeologica, con gli occhi puntati al presente, che permetta di raccontare un’altra storia di questo mondo (il nostro), facendo parlare anche coloro che per qualche ragione sono stati ammutoliti.
I volumi hanno uno scopo dichiarato nelle pagine firmate da Bruno Latour, dove egli riflette attorno alla dialettica tra pace-conflitto-guerra: l’attuale pax occidentalis somiglia più a una guerra infinita. Le alternative sembrano passare da una finta pace, che si manifesta come appiattimento di ogni divergenza e particolarità umana, a una guerra che si produce come deriva paranoica del conflitto. Accogliere il conflitto significa, però, accettare la pari dignità di tutti i mondi ed è per questo che in senso stretto non si può parlare di conflitto: gli occidentali si sono mossi, come si legge nell’Introduzione ai volumi “nella Babele delle culture, come maestri, o pastori di anime, auto-incaricati di portare agli altri conoscenza e salvezza”. L’Altro non è mai stato riconosciuto come realmente altro, ma come “cattivo allievo” da instradare, da civilizzare – ovvero da occidentalizzare.
È forse solo rivalutando la positività del conflitto che si possono aprire scenari di pace: se il mondo del mio “nemico” è valido e vero tanto quanto il mio, allora l’esito di uno scontro sarà incerto. Da qui l’opportunità di negoziare tra mondi, tra saperi, tra dispositivi: qualcosa che sa fare molto bene l’etnopsichiatria (come spiegano Stengers e Coppo nei loro contributi) quando lavora la sofferenza dei diversi gruppi umani secondo modalità loro specifiche, valorizzando i saper fare tradizionali, facendoli dialogare con altri e opponendosi a qualunque universalizzazione della sofferenza.
In questo modo l’antropologia si rivela come scienza profondamente politica, ovvero, citando Viveiros de Castro: “scienza dell’auto-determinazione ontologica dei popoli del mondo”.
Per approfondire: http://www.mondimultipli.sdf.unige.it/index.htm
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Articolo originale per Pressenza della redazione di Mondi Multipli