Dal nostro corrispondente a Ouagadougou Stefano Dotti.
Senza dubbio la sollevazione popolare burkinabè ha avuto come protagonisti decisivi i giovani: più precisamente i giovani di Ouagadougou. Sono loro ad aver organizzato le marce, ad aver portato dai quartieri e dai villaggi le persone, ad essersi schierati di fronte alla polizia in maniera nonviolenta, ad aver parlato coi militari affidandogli il potere provvisorio. E ora che le cose si sono calmate e tutti, politicanti in testa, rivendicano la paternità della rivoluzione, è il momento di fissare questa verità per farla rimanere scolpita nella storia. Per poter comprendere questo fenomeno è necessario osservare questa generazione burkinabè e sottolinearne le caratteristiche salienti.
Innanzitutto bisogna dire che sono tanti.
La popolazione giovanile in una città come Ouagadougou è numericamente forte; secondo le statistiche i giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni sfiorano il 60% . Al di là di questo, il dato si percepisce, è palpabile. In città, soprattutto di sera, si sente un’energia straordinaria.
Sono giovani che studiano, “globalizzati”, che si informano su Internet.
Quello che mi ha sempre colpito nei 12 anni di frequentazione di questa città è vedere le scuole e le università pullulare di giovani. Aule strapiene, capannelli di ragazzi nel cortile intenti a ripassare le lezioni. Ma anche la sera quando l’università chiude e nei giorni festivi, puoi vedere nei cortili delle case gruppi di ragazzi intenti a studiare. A casa mia nel cortile hanno fissato una lavagna di fortuna e ogni sera dalle 18 alle 20 una decina di ragazzi si incontrano per ripassare le lezioni. Nei quartieri un po’ più poveri della periferia, dove le case non hanno l’elettricità, non è raro vedere di sera ragazzi sotto la luce dei lampioni con i loro libri.
Qualche tempo fa sono stato invitato alla discussione della tesi di laurea in farmacia di un mio amico. Questa discussione è durata 4 ore e mezza (cronometrate). Qui studiano sul serio, amano apprendere, sono felici di conoscere anche se sono consapevoli che poi la vita sarà comunque dura. Conoscono la storia, sanno di politica ed economia. (anche chi studia farmacia). E poi sono informati su quello che accade nel mondo. Hanno ovviamente dimestichezza con Internet e attraverso questo strumento comunicano coi giovani di tutto il mondo. La prima cosa che chiedono a un amico bianco è di avere dei contatti con qualcuno in Europa per poter interscambiare idee ed informazioni.
Sono giovani educati al sankarismo.
Questa caratteristica è frutto di un’eredità nobile che risale agli anni 83/87. I genitori di questi ragazzi hanno vissuto il periodo di Sankarà. Questo personaggio, tra tutte le cose che ha fatto, ha messo al centro della sua politica la cultura, non solo come strumento di lotta contro il giogo economico occidentale, ma anche come emancipazione mentale e appunto culturale. Il “paesaggio di formazione” dei ragazzi è oggi permeato di quei principi educativi ispirati dall’epoca di Sankarà e tramandati nel tempo.
E’ così che si è formata un’etica forte, che mette al centro di ogni impegno lo sforzo di lavorare per la collettività prima ancora che per i propri interessi e le proprie ambizioni personali. Questo modello, che alcuni ritengono sconfitto dalla Storia (ma di quale Storia parlano?), rimasto “congelato” per 27 anni, oggi è riemerso con ancora più forza.
La rivoluzione a cui abbiamo assistito è l’espressione di un’aspirazione che va ben al di là del cambiamento di un regime oppressivo. Qui troviamo i prodromi di una sensibilità nuova, che ha radici lontane e guarda al futuro con rinnovata speranza.
Sembra ormai evidente che un’epoca sta per finire. Il mondo attuale si sta contorcendo in una crisi che non ha risposte. Il prezzo che pagano le persone sta arrivando al suo limite. Le nuove generazioni incalzano e, come è successo qui, reclamano il loro posto, il diritto a far sentire la loro voce, la pretesa di sperimentare i loro modelli di vita.
Che cosa manca ai giovani occidentali.
Ho immaginato spesso in questi giorni rivoluzionari l’ipotesi che i giovani d’Europa si sveglino un mattino con l’intenzione di cambiare. Mi sono sentito molto coraggioso nello sfidare questa apparente impossibilità e cercare di individuarne il pezzo mancante.
Ebbene credo, ne sono certo, che bisogna andare a cercare proprio in quello che ho chiamato “paesaggio di formazione”. Le “nostre” nuove generazioni sono state educate in un contesto diverso da questo. Ovvio.
In Europa gli anni 70 e 80 sono stati caratterizzati prima dal fallimento della rivoluzione del 68 e poi da un “riflusso” verso un individualismo spietato. La mia generazione, cioè i genitori di chi ha oggi 25/30 anni, ha assorbito (o ha dovuto assorbire) questo clima che in molti modi si è trasmesso ai figli. Un cocktail di fallimento, frustrazione, spinte arriviste e, ciliegina sulla torta (anzi sul cocktail) un enorme senso di colpa ha accompagnato, permeato l’infanzia dei giovani d’oggi.
I “nostri” giovani dovrebbero avere consapevolezza di questa scomodo paesaggio in cui sono nati per poter meglio interpretare quel “sentirsi intrappolati”, “bloccati”, “senza futuro”, “devitalizzati” etc. L’energia c’è! Bisogna solamente rimuovere quello “strato climatico” sedimentato nel tempo. Riconoscere e accettare, questi sono gli atti che lanciano le azioni verso il cambiamento, la trasformazione della realtà personale e collettiva.
Questo processo è già iniziato perché le generazioni si succedono velocemente e quello che oggi sembra “un grande problema” domani sarà una risorsa per costruire un nuovo mondo.
Leggi anche gli altri articoli di Stefano Dotti sul Burkina Faso:
Cronache dal Burkina: prima puntata
Cronache dal Burkina, seconda puntata
Cronache dal Burkina: una giornata lunga e faticosa (la terza puntata)
Cronache dal Burkina: una manipolazione è incomnciata (la quarta puntata)