Martedì di sangue in una sinagoga di Gerusalemme, dove quattro israeliani sono stati uccisi e almeno altri nove sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. Due palestinesi, armati di una pistola, una mannaia e un coltello sono entrati nella sinagoga del collegio rabbinico all’interno nel complesso religioso nel rione ortodosso sefardita di Har Nof, all’ingresso occidentale di Gerusalemme e hanno aperto il fuoco contro i presenti. I due attentatori, Ghassan e Odai Abu Jamal, abitanti del quartiere palestinese di Jabal al Mubaker sono poi stati uccisi dalla polizia israeliana.
Le quattro vittime israeliane sono Moshe Twersky (59) originario di Boston, nipote del rabbino Yosef Soloveitchick tra le figure più importanti del movimento ortodosso moderno, Aryeh Kupinsky (43) e Kalman Zeev Levine (55) anche loro statunitensi e Avraham Shmuel Goldberg (68) inglese di Liverpool. Goldberg aveva compiuto l’aliya (l’immigrazione in Israle) nel 1993.
L’attacco è avvenuto in un quadro di crescente tensione a Gerusalemme che da settimane sta sconvolgendo la città, anche a causa del progressivo peggioramento dei rapporti tra il premier israeliano Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen.
A causare la rabbia dei palestinesi sembra sia stata anche la morte, in circostanze non chiare, di un autista palestinese trovato impiccato domenica sera nel suo autobus. Per i familiari (e tutti i palestinesi) l’uomo è stato assassinato da estremisti ebrei dopo essere stato percosso, per la polizia israeliana invece si sarebbe suicidato. L’attentato alla sinagoga è destinato ad aggravare anche la tensione politica, già molto alta, in quanto il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha puntato il dito contro la leadership palestinese: “questo è il risultato dell’istigazione [alla violenza] compiuta da Abu Mazen e Hamas. Una istigazione che viene irresponsabilmente ignorata dalla comunità internazionale. Risponderemo duramente all’omicidio crudele di ebrei che erano venuti a pregare”, ha detto Netanyahu. Anche il Ministro dell’Economia Naftali Bennet (“Casa Ebraica”) ha espresso posizioni simili, definendo Abu Mazen uno “tra i più grandi terroristi palestinesi. Ha la responsabilità per il sangue ebreo versato sui tallit e i tefillin”. “Abu Mazen – ha aggiunto Bennet – ha dichiarato guerra ad Israele e, pertanto, dovremmo comportarci di conseguenza”. In tarda mattinata è stato convocato un vertice di emergenza per discutere sulla situazione della sicurezza.
Il portavoce di Hamas a Gaza, Mushir al-Masri, che sembra aver rivendicato l’attacco, ha detto che “si tratta di un’azione di vendetta per i crimini compiuti da Israele contro il popolo palestinesi e i luoghi santi”. Un altro esponente di spicco di Hamas, Hussam Badran, ha dichiarato che l’attacco di oggi è una risposta all’“assassinio” dell’autista di autobus palestinese trovato impiccato domenica notte.
Abu Mazen, ha condannato “l’uccisione dei fedeli ebrei a Gerusalemme e di altri civili ovunque essi siano”, ed ha chiesto che si metta fine anche “agli assalti alla moschea di al-Aqsa, alle provocazioni dei coloni e a quelle di alcuni ministri israeliani”. “Confermiamo – ha aggiunto – il nostro impegno a una soluzione giusta basata su due Stati secondo le risoluzioni internazionali, alla salvaguardia di un clima di calma e alle intese raggiunte”. Ha anche specificato che il primo ministro israeliano sta innescando una guerra di religione con la sua politica di colonizzazione ebraica nella zona palestinese di Gerusalemme. Solo un paio di giorni prima, il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, aveva dichiarato che Israele non limiterà mai la costruzione di insediamenti a Gerusalemme est. “Una cosa dovrebbe essere chiara: mai accetteremo la definizione di insediamenti per le costruzioni nei sobborghi ebrei di Gerusalemme est”, ha detto.
Secondo un aggiornamento pomeridiano di Nena News sembra che il capo dello Shabbak (Intelligence interna israeliana) Yoram Cohen abbia smentito le dichiarazioni del Premier Netanyahu secondo cui il Presidente palestinese è direttamente responsabile dell’escalation di violenza a Gerusalemme e nei Territori Occupati. Secondo quanto riportato da HaAretz citando fonti anonime, Cohen avrebbe detto alla Commissione degli Esteri e della Sicurezza: “Abu Mazen non incoraggia il terrorismo neanche di nascosto”, ma avrebbe aggiunto “tuttavia, ci sono persone all’interno del popolo palestinese che legittimano le operazioni [come quella di oggi]“. Per il capo dello Shabbak, Abu Mazen non esorta il suo popolo ad una terza Intifada. “Non è interessato al terrorismo, né conduce [il suo popolo] al terrorismo”. Yoram ha detto che i due attentatori palestinesi non avevano precedenti penali e non hanno agito né si sono addestrati all’interno di una specifica organizzazione palestinese.
Qualunque saranno le conseguenze degli avvenimenti di oggi, quel che è certo è che la tensione è alle stelle a Gerusalemme e i livelli di violenza da entrambe le parti stanno raggiungendo quelli del 2000, violenze che diedero via alla Seconda Intifada. Sarà anche vero che non esiste oggi una leadership palestinese forte che possa condurre il suo popolo a una reazione di quel tipo, ma il futuro si preannuncia essere davvero poco roseo per la regione e se Israele non deciderà di fare un passo indietro nella sua politica di colonizzazione, oppressione ed occupazione continuerà a mettere in pericolo il suo popolo perché attentati di questo tipo non faranno che ripetersi. Dopo le indicibili violenze della scorsa estate, che hanno messo in ginocchio l’intera Striscia di Gaza (che impiegherà anni per essere ricostruita dato che la ricostruzione non è ancora iniziata e il blocco israeliano prosegue imperterrito), ora è Gerusalememe al centro del conflitto, proprio come nella Seconda Intifada.
Fonti: Nena News/Agenzie