In foto Ahmad Abu Raida, gentile concessione di DCI-Palestine
Gli investigatori dell’esercito israeliano non hanno nemmeno contattato la vittima adolescente di uno dei numerosi crimini di guerra sospetti sui quali dicono di indagare. Più di due mesi dopo dall’inizio dell’assalto israeliano a Gaza, le vittime degli attacchi per via aerea, via terra e via mare continuano a non avere diritto di appello contro i loro occupanti.
Articolo di Samer Balawi
17/09/2014 – Sono passati quasi due mesi da quando Ahmad Abu Raida, 17 anni, disse di essere stato usato come scudo umano da parte delle forze israeliane vicino alla città di Khan Younis, al confine di Gaza. Da allora, le organizzazioni per i diritti umani e i vari media hanno parlato del caso (+972 fu tra i primi), ma Abu Raida deve ancora affrontare i suoi presunti rapitori e fino ad ora la sua famiglia non ha alcuna speranza nella giustizia.
Anche se l’ufficio del Procuratore generale militare dell’IDF, il MAG, ha dichiarato di aver aperto un’inchiesta sul caso, il padre di Abu Raida ha detto lunedì che né lui né suo figlio sono stati ancora contattati dai militari. Non è una sorpresa per Brad Parker, avvocato della sezione palestinese della Defence for Children International (Difesa internazionale dei minori), che per primo ha documentato la storia di Abu Raida. “L’impunità è la norma, perché le indagini non sono quasi mai trasparenti e indipendenti e raramente danno luogo ad una sentenza di responsabilità criminale nei confronti di un soldato israeliano”, ha detto Parker a +972mag. “Quanto può essere seria un’indagine in cui, ad oggi, nessun investigatore israeliano ha contattato Ahmad o la sua famiglia per raccogliere informazioni riguardo al fatto di essere stato usato come scudo umano?”
Il caso di Abu Raida è solo uno dei tanti ancora in fase di “indagine” dall’ufficio del Procuratore generale militare israeliano. Nel frattempo, Human Rights Watch ha dichiarato la scorsa settimana che durante l’assalto di 51 giorni a Gaza questa estate Israele ha commesso crimini di guerra. Altri, tra cui i partecipanti al prossimo Tribunale Russell sulla Palestina, si chiedono se le azioni di Israele costituiscono “genocidio”.
Al tribunale, previsto per il 24 e 25 settembre a Bruxelles, parteciperanno anche i professori di legge John Dugard e Richard Falk, che sono stati entrambi relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani in Palestina. In un comunicato stampa che annuncia la sessione “straordinaria” di due giorni, gli organizzatori hanno detto: “Il Tribunale esaminerà i crimini di guerra israeliani, i crimini contro l’umanità, e per la prima volta nei confronti di Israele, il reato di genocidio”.
Le Nazioni Unite definiscono il genocidio come «ognuno dei seguenti atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o un gruppo religioso: uccidere i membri del gruppo; causando loro gravi danni all’integrità fisica o mentale; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; imporre misure mirate a impedire le nascite all’interno del gruppo; trasferire forzatamente i bambini del gruppo ad un altro gruppo».
“In un contesto in cui l’impunità sistemica è lo status quo, sono necessarie iniziative come il Tribunale Russell sulla Palestina a fare pressione per fornire giustizia e definire responsabilità”, ha detto Parker. Ha anche citato la Corte penale internazionale, ma i tentativi di intentare causa contro Israele sono stati zoppicanti da parte del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che deve ancora firmare lo Statuto di Roma che definisce l’ambito di competenza del tribunale.
Per i palestinesi che fanno causa a Israele, la mancanza di ricorso secondo il diritto internazionale favorisce solo l’impunità dello Stato. Usando il linguaggio della Corte penale internazionale stessa, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha annunciato l’8 settembre che non avrebbe più collaborato con il Procuratore generale militare, perché Israele è “incapace e non intenzionato” a indagare su se stesso.
Il direttore esecutivo di B’Tselem, Hagai El-Ad, ha chiamato l’inchiesta del Procuratore generale militare per il caso di Abu Raida una “sconfitta totale”, aggiungendo che “l’annuncio dimostra una delle principali carenze del sistema attuale: il suo rifiuto categorico di indagare sugli alti funzionari ed esaminare onestamente questioni politiche di larga scala relative all’uso della forza militare di Israele”.
Nel frattempo, la famiglia di Abu Raida, come decine di migliaia di altre le cui case sono state danneggiate o distrutte durante i bombardamenti israeliani per via aerea, via terra e via mare, continua a mettere insieme ciò che resta della sua vita. In questo senso, loro sono tra i più fortunati a Gaza, dove più di 2.100 persone, tra cui 501 bambini, sono stati uccisi. Come sia successo e chi sarà ritenuto responsabile, restano le domande più pressanti a Gaza per 1,8 milioni di palestinesi.
Traduzione dall’inglese di Irene Tuzi