La tua firma per la legge di iniziativa popolare per eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione è una firma contro politiche di austerità disastrose e per un nuovo modello economico. Non solo per rimediare a una fallimentare modifica della nostra Costituzione, ma anche per dare un segnale concreto per cambiare radicalmente le attuali politiche europee e per la costruzione di un’Europa sociale e dei diritti. E’ quindi una scelta contro il fiscal compact.
Prima ancora, è una firma contro l’inaccettabile dominio della finanza sulle nostre vite. Con il pareggio di bilancio si dichiara che i diritti fondamentali delle persone sono delle variabili subordinate a parametri economici del tutto arbitrari. E’ vero l’opposto: a maggior ragione in un momento di crisi realizzare i diritti delle persone è la bussola per le scelte scelte politiche e per rilanciare un nuovo modello di sviluppo economico e sociale.
Col pareggio ci perdi. E’ ora di cambiare le cose.
La Legge costituzionale n.1 del 2012 ha introdotto il principio del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione. Questo significa che ogni anno, lo Stato italiano deve spendere unicamente quanto incassa. Un principio sbagliato, da ogni punto di vista, che impedisce allo stato di fronteggiare le crisi economiche e di agire per garantire occupazione e diritti sociali.
Politico – L’obiettivo centrale delle scelte politiche deve essere il benessere e il pieno riconoscimento dei diritti delle persone. Il pareggio di bilancio in Costituzione ribalta tale approccio rendendo i diritti subordinati alle decisioni in ambito economico e finanziario. Al contrario noi chiediamo che la legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica definisca i “vincoli di bilancio nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone”. Prima le persone, poi la contabilità.
Sociale – Austerità e pareggio di bilancio hanno aumentato la disoccupazione e le diseguaglianze. Tagliare la spesa pubblica significa meno servizi, ovvero colpire in particolare le fasce più deboli della popolazione che sono costrette a rivolgersi alla scuola o alla sanità private non avendone i mezzi. Diminuisce il reddito a disposizione, il che provoca un continuo calo dei consumi.
Economico – Proprio in una fase di recessione, come l’attuale, un aumento della spesa pubblica può permettere da un lato di aumentare investimenti e occupazione, dall’altro le entrate fiscali, ripagando in buona parte le maggiori spese. Inserire addirittura in Costituzione l’impossibilità di indebitarsi durante una fase recessiva per poi diminuire il debito nella successiva fase espansiva, significa privare i governi di uno dei più efficaci strumenti di politica economica a loro disposizione.
Finanziario – Tagli alla spesa pubblica significa meno investimenti e risorse, quindi un calo del PIL, mentre il crollo dei consumi provoca una diminuzione delle entrate fiscali. Non solo gli impatti sociali sono disastrosi, ma persino il rapporto debito/PIL continua a peggiorare.
Giuridico – La Costituzione fissa i grandi principi che regolano l’agire comune, non certo le singole normative. E’ semplicemente assurdo rendere incostituzionale una scelta di politica economica. Ed è falso affermare che si è tratto di un obbligo imposto dalla Ue, tant’è che altri importanti paesi, come la Francia, non l’hanno fatto.
Culturale – La colpa della crisi non è dello “Stato spendaccione”, del fatto che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” , come ripetuto dai sostenitori del pareggio di bilancio. In Italia, dalla metà degli anni ’90 al 2007 il rapporto debito/PIL è costantemente sceso. E’ solo dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime negli USA che, in Italia come nella quasi totalità degli altri Paesi occidentali, i conti pubblici sono rapidamente peggiorati. In altre parole è il disastro combinato dalla finanza privata, non certo da quella pubblica, ad averci trascinato nella situazione attuale.
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