Secondo un rapporto diffuso oggi da Amnesty International, le milizie e i gruppi armati che si stanno scontrando nella Libia occidentale stanno commettendo gravi abusi, compresi crimini di guerra.
Il rapporto, intitolato “La legge delle armi: rapimenti, torture e altri abusi da parte delle milizie nella Libia occidentale”, fornisce prove di esecuzioni sommarie, torture e maltrattamenti dei detenuti e attacchi dei gruppi armati contro la popolazione civile sulla base dell’origine e della presunta affiliazione politica.
Le immagini satellitari che accompagnano l’uscita del rapporto di Amnesty International mettono inoltre in evidenza il profondo disprezzo per le vite dei civili da parte di tutte le fazioni coinvolte negli scontri, con razzi indiscriminati e colpi di artiglieria diretti contro aree abitate che hanno danneggiato case, edifici civili e strutture mediche.
“Nella Libia di oggi sono le armi a dettare legge. I gruppi armati e le milizie, ormai fuori controllo, lanciano attacchi indiscriminati contro i centri abitati e si rendono responsabili di gravi abusi, compresi crimini di guerra, nella completa impunità” – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
I capi delle milizie e dei gruppi armati hanno il dovere di porre fine alle violazioni del diritto internazionale umanitario e di dire chiaramente ai loro subordinati che crimini del genere non verranno tollerati. Se non lo faranno, potrebbero essere chiamati a risponderne alla Corte penale internazionale.
Tra i gruppi armati e le milizie ritenute responsabili di gravi abusi dei diritti umani figurano la coalizione Alba libica, composta da gruppi di Misurata, Tripoli e altre città della Libia occidentale e la Zintan-Warshafana di cui fanno parte gruppi provenienti dalle due regioni.
Le immagini satellitari ottenute da Amnesty International mostrano danni ingenti a proprietà civili nella regione di Warshafana, compreso l’ospedale di Al-Zahra. L’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Zawiya è stata centrata da un razzo che ha causato il ferimento di 10 persone tra medici, infermieri, pazienti e visitatori.
“Compiere attacchi indiscriminati e prendere di mira strutture mediche sono atti proibiti dal diritto internazionale e possono costituire crimini di guerra. Ciò nonostante, tutte le parti in conflitto hanno lanciato razzi grad e hanno usato l’artiglieria per colpire centri densamente popolati” – ha sottolineato Sahraoui.
Rapimenti, torture e altri maltrattamenti
Decine e decine di civili sono stati rapiti dai gruppi armati a Tripoli, Zawiya, Warshafana e nei centri dei monti Nafusa e tenuti in ostaggio anche per due mesi in un’ondata di azioni di rappresaglia basate sulla residenza o sulla presunta affiliazione politica delle vittime e, in alcuni casi, per effettuare scambi di prigionieri, una prassi diffusa sin dall’inizio del conflitto, che risale al 13 luglio.
Abitanti di Tripoli originari della zona di Zintan hanno riferito ad Amnesty International che i miliziani di Alba libica hanno effettuato vere e proprie cacce all’uomo, porta a porta, sequestrando persone sulla base della loro appartenenza tribale o presunta affiliazione politica. La stessa milizia ha compiuto raid, distruzioni, saccheggi e incendi di case e altre proprietà civili come le fattorie nella zona di Warshafana.
Quando vengono perpetrati nel corso di un conflitto armato, la tortura e i trattamenti crudeli costituiscono crimini di guerra, così come la cattura di ostaggi o la distruzione e l’impossessamento di proprietà di un avversario, a meno che queste ultime azioni non siano imperativamente richieste da una necessità militare.
“Tre anni di impunità garantita alle milizie hanno rafforzato il potere di queste ultime e la convinzione di essere al di sopra della legge” – ha commentato Sahraoui. “Se i responsabili dei crimini non saranno chiamati a risponderne, la situazione è destinata a precipitare ulteriormente”.
La comunità internazionale ha ampiamente chiuso gli occhi di fronte agli anni di caos seguiti alla rivolta del febbraio 2011, nonostante la Corte penale internazionale potesse esercitare sin da allora la sua giurisdizione per indagare su crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Sulla base di una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza ad agosto, nei confronti dei responsabili di violazioni dei diritti umani in Libia possono essere adottate sanzioni come il divieto di viaggio e il congelamento dei beni finanziari.
Molte persone sequestrate hanno detto ad Amnesty International di essere state sottoposte a maltrattamenti e torture con tubi di plastica, bastoni, sbarre o cavi di metallo, scariche elettriche, così come di essere state forzate a stare per ore in posizioni dolorose, bendate e incatenate per giorni, private di cibo e acqua e costrette a sopportare misere condizioni sanitarie.
Un autista di camion rapito da un gruppo armato di Warshafana perché proveniente dalla città di Zawiya ha raccontato di essere stato picchiato con una sbarra di metallo e sottoposto a scariche elettriche. Poi i rapitori hanno versato benzina sul suo corpo minacciando di appiccare il fuoco.
Ahmad Juweida, un miliziano di Warshafana, è stato rapito da una milizia di Nalut mentre si stava recando in Tunisia per ricevere cure mediche. È stato ucciso in modo sommario, a quanto pare con un colpo alla nuca.
Amnesty International ha sollecitato tutti i gruppi armati e le milizie a rilasciare immediatamente e senza condizioni chiunque sia stato rapito unicamente sulla base dell’origine o dell’affiliazione politica. Tutti i detenuti, soprattutto i combattenti che sono particolarmente a rischio di tortura e di uccisione sommaria, devono essere trattati con umanità nel rispetto del diritto internazionale umanitario. I capi delle milizie e dei gruppi armati devono comunicare ai loro sottoposti che la tortura e i maltrattamenti non saranno tollerati ed espellere dalle loro file chiunque sia sospettato di tali azioni.
Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, da luglio almeno 287.000 persone hanno lasciato le loro case a seguito degli attacchi indiscriminati o per il timore di essere presi di mira a causa della loro origine etnica o presunta affiliazione politica. Altre 100.000 persone hanno lasciato la Libia temendo per la loro vita.
Decine di giornalisti, attivisti della società civile e difensori dei diritti umani sono a loro volta fuggiti dal paese o sono entrati in clandestinità a seguito dell’aumento degli attacchi e delle minacce da parte delle milizie. I componenti del Consiglio nazionale per le libertà civili e i diritti umani, l’istituzione nazionale libica per i diritti umani, sono stati minacciati e intimiditi da miliziani affiliati alla coalizione Alba libica. Amnesty International ha intervistato 10 operatori dell’informazione che hanno lasciato la capitale Tripoli o, in alcuni casi, il paese temendo di essere uccisi. Sono stati presi di mira anche gli uffici e i giornalisti di Al-Assema Tv e Libya International Tv.
Secondo Reporter senza frontiere, nei primi nove mesi del 2014 sono stati presi di mira almeno 93 giornalisti.
Stessa sorte per gli sfollati tawargha, a lungo sospettati da molti libici di aver sostenuto l’ex leader Gheddafi, vittime di rapimenti a partire da agosto e di attacchi per rappresaglia contro uno dei loro campi profughi.
Il rapporto “La legge delle armi: rapimenti, torture e altri abusi da parte delle milizie nella Libia occidentale” e le immagini satellitari sono disponibili all’indirizzo: http://www.amnesty.it/Libia-crimini-di-guerra-delle-milizie e presso l’Ufficio Stampa di Amnesty International.