L’Alto Commissario per i Diritti Umani (foto wikimedia)
Oltre 191.000 persone sono state uccise in Siria dall’inizio della guerra nel 2011 in un contesto di “paralisi internazionale” che incoraggia “assassini, devastatori e torturatori”.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani guidato da Navy Pillay ha compilato un registro con 191.369 casi documentati di persone uccise fra il marzo 2011 e l’aprile scorso: sono “oltre il doppio” del bilancio Onu stabilito un anno fa (93.000) e in ogni caso di tratta di numeri sottostimati per ammissione delle stesse fonti.
Il più alto numero di vittime è stato registrato nel governatorato di Damasco, (39.393), seguito da Aleppo (31.932), Homs (28.186), Idlib (20.040), Daraa (18.539) e Hama (14.690). Oltre l’85% dei morti sono uomini. Come nei rapporti precedenti l’Onu non è riuscito a distinguere fra civili e combattenti. Ha invece riportato l’assassinio di 8803 minori – l’età non è stata documentata – ma anche questo è considerato un numero sottostimato.
Anche in questo contesto, secondo Pillay “esistono serie accuse in base alle quali potrebbero essere stati commessi nella totale imnpunità crimini di guerra e contro l’umanità”. L’Alto commissario uscente – il suo mandato scadrà il prossimo 31 agosto – ha deplorato che il Consiglio di sicurezza nosi sia rivolto alla Corte penale internazionale (Cpi).