Dopo la squalifica inflitta dalla Fifa a Luis Alberto Suarez, detto “Hannibal”, per il morso a Chiellini nella sfida mondiale tra Italia e Uruguay, l’intero Paese sudamericano si è stretto attorno al suo campione in una strenua difesa della più assoluta evidenza. Simbolo di questa spinta patriottica, da catalogare sotto l’etichetta “l’amore è cieco, come l’arbitro”, è il presidente uruguaiano, Josè “Pepe” Mujica, che si è finalmente guadagnato quegli onori delle cronache italiane che meriterebbe per ben altri aspetti.
Perchè “Pepe” è un uomo completamente fuori dagli schemi classici con cui siamo abituati a immaginare un capo di Stato. Ex guerrigliero di sinistra, non è stato cambiato dalla carriera politica, che ha iniziato nel 1994 con l’elezione a deputato. Senatore e poi ministro, Mujica ha vinto le presidenziali del 2009, ma non ha rinunciato alla sua umilissima vita quotidiana. Al palazzo presidenziale ha preferito la sua fattoria di Rincón del Cerro, vicino a Montevideo, e all’auto di servizio preferisce un vecchio maggiolino azzurro che guida di persona. Devolve il 90% del suo stipendio da presidente (circa 12.000 dollari) a bisognosi e Ong e si fa bastare il restante (circa 1.500 dollari) perchè – dice – “ci sono molti uruguaiani che vivono con molto meno”. Per questo motivo si era guadagnato il record di capo del governo più povero del mondo, primato che gli è recentemente stato sottratto dal primo ministro nepalese Sushil Koirala.
Conduce il suo Paese senza abbandonare orto, cantina e animali, applicando nella vita reale gli ideali più puri della sinistra in cui ha sempre creduto. Marxista convinto, non segue tuttavia il verbo in maniera dogmatica e militante, ma ha adeguato le sue idee al tempo in cui vive. Interpreta la dottrina marxista senza leggere in essa, nè praticare, l’assenza di mercato e capitalismo, che considera ineluttabili ma di cui critica fortemente le derive e le applicazioni nel nostro tempo. La cultura dello spreco e la superficialità del valore attribuito alle cose, in particolare, sono gli aspetti contro cui lotta quotidianamente attraverso l’esempio e la pratica, non attraverso l’ipocrisia dei grandi discorsi. Denuncia dunque la ricerca del piacere immediato, cui contrappone quella della felicità costante, da coltivare giorno per giorno valorizzando i piccoli gesti e le risorse disponibili, contro l’inseguimento smodato della ricchezza come valore di per sè. Vivere felici con ciò che si ha senza perseguire stili di vita che superino le necessità reali, perchè è questo tipo di cultura, consumismo in primis, che genera alti livelli di sprechi e alti tassi di diseguaglianza. Oltre ad altissimi tassi d’infelicità. Contrappone, di conseguenza, la sobrietà all’austerità, perchè – sostiene – “non occorre sacrificare le generazioni del presente per garantire ricchezza nel futuro. Serve agire per gradi”.
Una cultura dell’esistenza tipicamente sudamericana che, personalmente, ho trovato fortemente radicata anche a Cuba, Paese nel cuore di Mujica fin dalla gioventù, quando si riconobbe negli ideali della rivoluzione castrista. Una cultura diametralmente opposta a quella che guida le società occidentali, che si sono accorte dell’Uruguay di “Pepe” solo lo scorso anno, quando, nel giro di pochi mesi, egli ha messo a segno due riforme da noi oltremodo controverse e divisive: ha liberalizzato prima i matrimoni gay, ad aprile 2013, e poi, a dicembre, anche la marijuana. Oggi è stato il calcio a sbatterlo sulle prime pagine dei nostri giornali. Potrebbe essere un pretesto niente male per iniziare a guardare a lui come a un personaggio da cui trarre un po’ d’ispirazione nel condurre le nostre frenetiche vite quotidiane da occidentali alla perenne ricerca di successo. Ma in che cosa?
Scritto da Vito Costa
Tratto integralmente da http://www.ateniesi.it/morso-suarez-jose-pepe-mujica/