È stata appena pubblicata (29 luglio 2014, l’ennesima data da ricordare nella lunga e drammatica vicenda kosovara) la relazione finale delle indagini condotte da Clint Williamson, il pubblico ministero incaricato dall’Unione Europea delle indagini, durate tre anni, sulle grandi violazioni dei diritti umani commesse in Kosovo dopo l’aggressione NATO del 1999 (www.sitf.eu/images/Statement/Statement_of_the_Chief_Prosecutor_of_the_SITF_EN.pdf). Il rapporto è chiaro: il vertice politico-militare dell’UCK (la terroristica Armata di Liberazione del Kosovo, artefice della guerriglia separatista albanese-kosovara degli anni Novanta) è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, pratiche di genocidio e violazioni e, per alcuni leader, si avanza formalmente la richiesta di “rinvio a giudizio” ritenendo opportuno e necessario il processo, a fronte della gravità delle accuse.
In merito al coinvolgimento delle singole personalità, il procuratore ne fornisce un profilo, senza attestare generalità: si tratta di “alti funzionari” dell’ex Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK in albanese, KLA in inglese), molti dei quali hanno poi occupato posizioni di leadership politica e istituzionale dopo l’auto-proclamazione dell’indipendenza kosovara del 17 febbraio 2008, peraltro, a tutt’oggi, non ancora riconosciuta dalla comunità internazionale. Basti, per intenderci, ricordare che sono ex capi della guerriglia terroristica dell’UCK sia il premier uscente Hashim Thaci (detto “il serpente”) sia quello in pectore Ramush Haradinaj. Il fatto che, come si ricava dal rapporto, parte significativa delle accuse istruite dalla task force investigativa dell’UE (SITF-UE) riguardi figure di spicco, ancora attivamente impegnate nella politica kosovara, è di estrema ed allarmante gravità.
L’allarme non deriva solo dai “nomi” (che pure non vengono fatti) degli incriminati, quanto (forse soprattutto) dalla gravità delle accuse, che riguardano crimini di guerra e contro l’umanità, tra cui omicidi, rapimenti, violenze sessuali e altri abusi contro serbi, rom e altre minoranze, soprattutto quelle considerate meno “collaborative” con la guerriglia separatista (la cui matrice etnica è, sin dalla sua costituzione, sempre stata rilevante e decisiva). Inoltre in alcuni casi sembra vi sia una sufficiente conferma del fatto che organi prelevati da prigionieri giustiziati siano stati fatti oggetto di tratta a scopo di lucro (traffico di organi umani). Tuttavia le prove raccolte – a quindici anni di distanza e a forza di un continuo e sistematico insabbiamento – non sono sufficientemente concrete ed adeguatamente probanti per poter imbastire un procedimento giudiziario sul caso.
Nella relazione Williamson stabilisce che l’inchiesta è stata resa difficile dalle continue intimidazioni dei testimoni, il che ha reso necessario assumere “provvedimenti per contrastare l’impatto delle intimidazioni sulle testimonianze”. Significativa la considerazione per cui, con ogni probabilità, “non esiste minaccia più grave di questa che possa compromettere lo “stato di diritto” in Kosovo e il suo progresso verso un futuro europeo”, cui la regione sembra infatti essere destinata, come dimostra il fatto che il Kosovo è nella lista dei potenziali candidati all’adesione europea e in procinto di formare un accordo di stabilizzazione, per entrare nel processo ASA, con la UE.
L’elenco dei crimini fatti oggetto dell’indagine è inquietante, in quanto include “uccisioni illegali, rapimenti, sparizioni forzate, detenzioni illegali nei campi (campi di prigionia e di segregazione) in Kosovo e Albania, violenza sessuale, altre forme di trattamento inumano e degradante, spostamenti di persone costrette a lasciare le loro case e le rispettive comunità, e dissacrazione e distruzione di chiese e altri siti religiosi”. Si menziona, di conseguenza, “la pulizia etnica di ampie porzioni delle popolazioni serbe e rom provenienti da quelle aree in Kosovo a sud del fiume Ibar”. Si attesta come convincente “la prova che questi crimini non siano stati atti di individui disonesti che abbiano agito di propria iniziativa, ma piuttosto siano stati condotti in modo sistematico ed organizzato e siano stati attuati e ispirati da individui ai massimi livelli della dirigenza dell’UCK”. La diffusione di tali crimini dopo la guerra del 1999 giustifica dunque un procedimento per crimini contro l’umanità.
Crimini compiuti dalla stessa dirigenza criminale della stessa organizzazione UCK che ha attivato la secessione kosovara e che è stata ampiamente finanziata, armata e sostenuta dai paesi occidentali responsabili dell’aggressione contro l’ex Jugoslavia, in primis USA e Gran Bretagna, ma anche l’Italia.