È il grande tabù della nostra epoca. Ma l’incapacità di rimettere in discussione il perseguimento della crescita perpetua si rivelerà la rovina dell’umanità
Di George Monbiot, pubblicato in The Guardian il 28 maggio 2014
Facciamo un’ipotesi: diciamo che nel 3030 a.C., il totale dei beni del popolo egizio rappresenta un volume di un metro cubo. Ipotizziamo inoltre che queste ricchezze crescano del 4,5% annuo. Quale volume avrebbe raggiunto quel cubo nel 30 a. C., al tempo della battaglia di Azio, in Grecia? Il calcolo è stato effettuato dal manager e investitore Jeremy Grantham(1).
Forza, provate a indovinare. Dieci volte le dimensioni delle piramidi? Tutta la sabbia del Sahara? L’Oceano Atlantico? Il volume del pianeta? Un po’ di più? Il risultato è: 2,5 miliardi di miliardi di sistemi solari (2). Non ci vuole molto, meditando su questo risultato, per giungere alla paradossale conclusione che la salvezza sta nel collasso.
Riuscire significa autodistruggerci. Fallire significa autodistruggerci. Questo è il ginepraio che ci siamo creati. Ignoriamo pure, se proprio vogliamo, il cambiamento climatico, il crollo della biodiversità, lo sfruttamento esasperato di acqua, suolo, minerali, petrolio; anche se tutti questi problemi dovessero miracolosamente svanire, la matematica del tasso di crescita renderebbe evidente l’impossibilità di continuare.
La crescita economica è un artefatto derivato dall’uso di combustibili fossili. Prima che si cominciassero ad estrarre grandi quantità di carbone, ogni espansione nella produzione industriale avrebbe provocato un declino nella produzione agricola, poiché la quantità di carbone di legna e di cavalli vapore richiesti dall’industria avrebbe ridotto la terra disponibile per le coltivazioni alimentari. Ogni precedente rivoluzione industriale è crollata, perché la crescita non poteva essere mantenuta(3). Ma il carbone ha spezzato questo ciclo e messo in moto, per qualche centinaio di anni, il fenomeno che oggi chiamiamo crescita illimitata.
Non sono stati né il capitalismo né il comunismo a rendere possibile il progresso e le relative patologie (guerra totale, una concentrazione della ricchezza globale senza precedenti, distruzione del pianeta) dell’era moderna. È stato il carbone, a cui ha fatto seguito il gas e il petrolio. La meta-tendenza, il discorso primigenio, è l’espansione alimentata a carbonio. Le nostre ideologie sono mere sottotrame. Ora, esaurite le riserve più accessibili, ci troviamo a dover saccheggiare gli angoli più remoti del pianeta per sostenere la nostra impossibile asserzione.
Qualche settimana fa, pochi giorni dopo che gli scienziati avevano pronunciato come ormai inevitabile il collasso della calotta glaciale antartica occidentale(4), il governo ecuadoriano ha deciso di andare avanti con la trivellazione petrolifera nel cuore del parco nazionale Yasuni(5). In precedenza, l’Ecuador aveva avanzato una proposta ad altri governi: avrebbe lasciato il petrolio nel sottosuolo in cambio del valore corrispondente alla metà del valore del petrolio presente in quella parte del parco. Lo si può vedere come un ricatto, o la si può interpretare come una transazione equa. L’Ecuador è povero, i suoi giacimenti petroliferi sono ricchi: perché, sostiene il suo governo, dovrebbe lasciarli intoccati senza una compensazione, quando tutti gli altri stanno perforando il circolo polare a più non posso? Aveva chiesto 3 miliardi di dollari, ne ha ricevuto 13 milioni. Di conseguenza, Petroamazonas, una società con una vivace storia di di distruzione e fuoriuscite di petrolio(6), ora penetrerà in uno dei luoghi dalla più ricca biodiversità del pianeta, in cui un ettaro di foresta pluviale, si dice, contiene più specie di quante ne esistano in tutto il continente nordamericano(7).
La compagnia petrolifera britannica Soco ora spera di penetrare a sua volta nel più antico parco nazionale dell’Africa, Virunga, nella Repubblica democratica del Congo(8); una delle ultime roccaforti del gorilla di montagna e dell’okapi, degli scimpanzé ed degli elefanti della foresta. In Gran Bretagna, dove è stata appena identificata la probabile presenza di 4,4 miliardi di barili di olio di scisto nel sud-est(9), il governo fantastica di trasformare la verdeggiante periferia in un nuovo delta del Niger. A tal fine sta modificando le leggi sulla violazione di proprietà in modo da autorizzare la perforazione senza consenso e l’elargizione di ricche tangenti alle popolazioni locali(10,11)… Queste nuove riserve non risolvono nulla. Non saziano la nostra fame di risorse, la esacerbano.
La curva del tasso di crescita medio dimostra che si è appena cominciato a setacciare il pianeta. Man mano che il volume dell’economia globale si espande, ovunque ci sia un qualcosa di concentrato, di prezioso o di insolito verrà assai presto desiderato e sfruttato, le risorse estratte e disperse, le molteplici e differenziate meraviglie del mondo ridotte ad un identica grigia distesa.
Qualcuno prova a risolvere l’impossibile equazione con il mito della smaterializzazione: man mano che i processi diventano più efficienti ed i dispositivi più miniaturizzati, si userebbero, complessivamente, meno materiali. Non c’è alcun segno che questo stia avvenendo. La produzione di minerale di ferro è aumentata del 180% in dieci anni(12). L’organismo commerciale Forest Industries ci dice che “il consumo mondiale di carta è a livello record e continuerà a crescere”(13). Se, nell’era digitale, non riusciamo a ridurre neanche il nostro consumo di carta, che speranza c’è per le altre materie prime?
Diamo un’occhiata ai super-ricchi, che sono quelli che regolano il passo del consumo globale. Hanno forse diminuito le dimensioni dei loro yacht? E le loro case? Sono diminuiti i loro acquisti di opere d’arte? Di legni rari, pesci rari, pietre rare? Chi ne ha i mezzi compra case sempre più grandi per immagazzinare la crescente scorta di roba per utilizzare la quale non vivrà abbastanza a lungo. Attraverso un’accumulazione inavvertita dai più, una sempre maggiore estensione della superficie del pianeta viene utilizzata per estrarre, produrre e immagazzinare cose di cui non abbiamo bisogno. Forse non è sorprendente che siano ricomparse le fantasiose ipotesi di colonizzazione dello spazio, ipotesi che ci dice che possiamo esportare i nostri problemi invece di risolverli (14).
Come sottolinea il filosofo Michael Rowan, la prevedibilità della crescita significa che se viene confermato il previsto tasso globale per il 2014 (3,1 per cento), anche se dovessimo miracolosamente ridurre il consumo di materie prime del 90% avremmo ritardato l’ineluttabile di soli 75 anni(15). L’efficienza non risolve nulla finché la crescita continua.
L’inevitabile fallimento di una società costruita sulla crescita e la distruzione dei sistemi viventi della terra è il fattore schiacciante della nostra esistenza. Di conseguenza non se ne parla praticamente da nessuna parte. Questo è il grande tabù del XXI secolo, l’argomento principe che può alienarci amici e vicini. Viviamo come intrappolati all’interno di una rivista: ossessionati da fama, moda e dai tre uggiosi elementi di base della conversazione della classe media: ricette, ristrutturazioni e resort. Tutto, tranne l’argomento che richiede la nostra attenzione.
Dichiarazioni maledettamente ovvie e risultati di semplici calcoli vengono trattati come vaniloqui irrilevanti e imperdonabili, mentre l’impossibile proposizione che viviamo è considerata così sana, così normale e scontata da non essere degna di menzione. Ecco come si misura la profondità di questo problema: dalla nostra incapacità persino di discuterne.
Riferimenti:
1. http://www.theoildrum.com/node/7853
2. Grantham ha espresso questo volume come 1057 metri cubi. Nel suo documento We Need To Talk About Growth (Dobbiamo parlare di crescita) Michael Rowan lo traduce come 2,5 miliardi di miliardi di sistemi solari. (http://persuademe.com.au/need-talk-growth-need-sums-well/). Questa fonte dà il volume del sistema solare (trattato come se fosse una sfera) come 39.629.013.196.241,7 chilometri cubi, cioè approssimativamente 40 x 1021 metri cubi. Moltiplicati per 2,5 miliardi di miliardi, dà come risultato 1041 metri cubi.
Dopo la pubblicazione, ho ricevuto le seguenti precisazioni:
da Jacob Bayless:
“… sul volume del sistema solare: non c’è una definizione convenuta del relativo diametro, ecco perché le cifre variano molto. (Ci sono anche due definizioni di ‘1 billion’, il che aumenta la confusione). Usando il raggio dell’orbita del Nettuno, il ‘pianeta’ più lontano dal sole, si ottiene la cifra di 2,5 miliardi:
L’orbita di Nettuno è 4,5 x 10^12 m di raggio, che dà una sfera di 4 x 10 ^ 38 m cubi. Moltiplicandola per 2,5 x 10^18, o “2,5 miliardi di miliardi„, il risultato è 10^57 metri cubi. Quindi quel calcolo è esatto.
Un altro metodo di misurazione del raggio del sistema solare sarebbe quello di considerare il raggio dell’eliopausa; è 4 volte tanto e quindi 64 volte il volume.”
da Geoff Briggs:
“Il presupposto di Michael Rowan è che le dimensioni del sistema solare corrispondano all’orbita di Nettuno, cosa piuttosto comprensibile, ma l’influenza del sole si estende MOLTO oltre, di conseguenza il suo calcolo è notevolmente esagerato (più o meno di un miliardo).
La cifra di 39.629,… km cubi presa da “yahoo answers” si basa su un calcolo corretto in anni luce, ma con un enorme guazzabuglio nella conversione in km cubi. L’autore sembra essersi basato sul presupposto che un anno luce sia circa 21.000.000 m, con un errore di circa otto ordini di grandezza: 4,2 anni luce cubi sono circa 3,6 x 10 ^ 39 km cubi (e quindi circa 3,6 x 10 ^ 48 metri cubi). “
da Andrew Bryce:
“volume di partenza dei beni egizi = 1 m3
dopo 3.000 anni, volume = 1 x (1,045) ^3.000
= 2,23 x 10 ^ 57 m3
Si supponga che il raggio del sistema solare è 50 AU (la distanza fino alla fascia di Kuiper)
1 AU = 1,496 x 10 ^ 11 m
raggio del sistema solare = 50 AU = 7,48 x 10 ^ 12 m
volume del sistema solare = 4/3 x pi x r^3
= 1,75 x 10 ^39 m3
quindi i beni egizi richiederebbe 2,23 x 10^57 / 1,75 x 10^39 sistemi solari
= 1,27 x 10^18
= circa 1.270.000.000 miliardi di sistemi solari
Se si considera il raggio del sistema solare essere 40 AU (circa il punto medio dell’orbita di Plutone), allora si otterrebbe una cifra di circa 2,5 miliardi di sistemi solari. “
Ma: “Se arrotondiamo il volume dei beni a esattamente 10^57 m3, e riteniamo il raggio del sistema solare essere 30 AU (l’orbita di Nettuno), anche in questo caso si ottiene una cifra pari a circa 2,5 miliardi di miliardi di sistemi solari (precisamente 2,64 miliardi di miliardi), che potrebbe essere il punto di partenza del calcolo. Questa sarebbe una migliore definizione delle dimensioni del sistema solare, avendo dei confini ben definiti.”
3. EA Wrigley, 2010. Energy and the English Industrial Revolution. Cambridge University Press.
5. http://www.theguardian.com/environment/2014/may/23/ecuador-amazon-yasuni-national-park-oil-drill
7. http://www.theguardian.com/world/2013/aug/16/ecuador-approves-yasuni-amazon-oil-drilling
8. http://www.wwf.org.uk/how_you_can_help/virunga/
12. Philippe Sibaud, 2012. Opening Pandora’s Box: The New Wave of Land Grabbing by the Extractive Industries and the Devastating Impact on Earth. The Gaia Foundation. http://www.gaiafoundation.org/opening-pandoras-box
14. https://www.globalonenessproject.org/library/articles/space-race-over
15. Michael Rowan, 2014. We Need To Talk About Growth (And we need to do the sums as well.) http://persuademe.com.au/Need-Talk-Growth-Need-Sums-well/
Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia per Pressenza