A cura di Giustino Di Domenico
Oltre a invocare la pace con la preghiera, papa Francesco ha denunciato la radice del male negli interessi economici delle industrie di armi. Quali passi in concreto andrebbero compiuti per frenare l’escalation in un’area così pericolosa? Intervista a Giorgio Beretta, esperto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia.
«Tutti vogliamo la pace, ma guardando a quello che accade vediamo che la radice del male è l’odio e la cupidigia del denaro delle fabbriche e della vendita delle armi». Le parole usate da papa Francesco davanti a profughi della Siria nel recente viaggio in Giordania vanno prese con estrema serietà. Continuando a parlare a braccio, Francesco ha chiesto: «Chi è dietro a tutto questo, chi continua a dare le armi a tutti quelli che sono in conflitto?». Cerchiamo di rispondere a questa precisa chiamata di responsabilità con l’aiuto di Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia.
Qual è lo stato del commercio delle armi in Medio Oriente?
«Il Medio Oriente è la zona nel mondo verso cui – secondo l’autorevole istituto di ricerca svedeseSIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) – è diretta la maggior parte di sistemi militari: nell’ultimo decennio ne sono stati inviati per oltre 51 miliardi di dollari, che rappresentano più del 20 per cento di tutti i trasferimenti mondiali di armamenti. Un quinto di tutti i sistemi militari venduti nel mondo va quindi a finire proprio in Medio Oriente».
Chi sono i venditori?
«Gli Stati Uniti sono in assoluto il maggior esportatore di armamenti verso i paesi mediorientali: nell’ultimo decennio ne hanno inviati per quasi 25 miliardi, cioè praticamente la metà di tutte le forniture di armi al Medio Oriente è di provenienza statunitense. Segue la Russia, ma con cifre quanto mai lontane (circa 5,5 miliardi di dollari) e poi una serie di paesi dell’Unione Europea: la Francia (più di 5 miliardi), la Germania (3,3 miliardi), il Regno Unito (3,1 miliardi) e l’Italia (più di 1 miliardo)».
Da questi dati che tipo di conclusioni si possono trarre?
«Detto in breve, chi più di altri sta armando il Medio Oriente non è qualche strano “Paese canaglia”, ma le maggiori potenze occidentali e, tra queste, anche i paesi dell’Unione europea: sommandoli, infatti i trasferimenti di armamenti da tutti i paesi dell’Ue verso il Medio Oriente superano i 15 miliardi di dollari».
Quali sono gli accordi commerciali esistenti?
«Sono molteplici e riguardano tutti i paesi dell’aerea. Gli Stati Uniti stanno fornendo sistemi missilistici terra-aria, missili guidati e missili tattici superficie-superficie un po’ a tutti i paesi della regione, dal Bahrain all’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti, anche per contrastare la minaccia dei missili balistici iraniani. La Casa Bianca ha inoltre autorizzato la Boeing a vendere all’Arabia Saudita 84 nuovi caccia F-15SA e ad ammodernarne altri 70 del tipo F-15 Strike Eagles: una commessa del valore complessivo di quasi 30 miliardi di dollari che rappresenta uno dei maggiori contratti di vendita all’estero di sistemi militari da parte degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita ha inoltre ordinato al consorzio europeo Eurofighter, di cui fa parte anche l’italiana Alenia Aermacchi, 72 caccia Typhoon per un contratto che è stato recentemente ampiamente rinegoziato rispetto ai 7,5 miliardi di dollari del 2005. Anche gli Emirati Arabi Uniti avevano espresso interesse ad acquistare una sessantina di caccia Typhoon, ma la commessa, del valore di oltre 10 miliardi di dollari, è scemata anche perché l’anno scorso l’aeronautica militare degli Emirati ha ottenuto l’autorizzazione dal Pentagono per acquistare dalla Lockheed Martin 25 caccia F-16 Desert Falcon, che vanno ad aggiungersi agli 80 già ricevuti tra il 2005 e il 2010. Dodici caccia Typhoon sono stati invece ordinati dall’Oman insieme ad otto aerei addestratori Hawk della britannica BAE per un valore complessivo di circa 4 miliardi di dollari».
E gli altri paesi?
«Israele ha deciso di acquistare dalla Lockheed Martin i cacciabombardieri F-35 e Washington ha autorizzato il governo di Tel Aviv a dotarli con sistemi missilistici ed elettronici israeliani. Il ministero della difesa israeliano ha inoltre stipulato un accordo con l’Italia per la fornitura di 30 velivoli addestratori M-346 della Alenia Aermacchi in cambio dell’acquisto da parte del nostro paese di sistemi radaristici e velivoli senza pilota (UAV) per un controvalore di circa 1 miliardo di dollari. Questo giusto per limitarci ai principali contratti per aerei da combattimento».
Qual è, invece, il ruolo odierno della Russia?
«La Russia è stata per decenni il maggior esportatore di armamenti verso la Siria, a cui ha fornito un ampio arsenale che va dai missili portatili alle bombe teleguidate fino ai caccia Mig-21 e Mig-23: di recente Mosca ha autorizzato la vendita al regime di Bashar al-Assad anche dei caccia Mig29. Mosca, inoltre, è il maggior fornitore di sistemi militari all’Iran (caccia Mig-29, sistemi missilistici mobili terra-aria, missili anticarro, radar, carri armati T72 ecc.), ma anche la Cina ha fornito Teheran di armamenti tra cui figurano probabilmente, nonostante l’embargo internazionale, sistemi di missili antinave e missili portatili terra-aria. La Russia, infine, pare abbia siglato lo scorso febbraio un’intesa con il generale e attuale presidente egiziano al-Sisi per la fornitura di caccia da combattimento Mig-29M, sistemi di difesa anti-missili, elicotteri Mi-35, missili anti-nave, armi leggere e munizioni per un valore complessivo di 3 miliardi di dollari».
E l’Unione Europea con l’Italia?
«In generale i governi dei paesi dell’Ue nel decennio 2003-2012 hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente per oltre 71 miliardi di euro. Nel solo 2012 queste autorizzazioni sono state di oltre 9,7 miliardi di euro, che fanno del Medio Oriente il principale destinatario esterno di sistemi militari prodotti nei paesi dell’Unione. Nell’ultimo quinquennio l’Italia ha autorizzato esportazioni di sistemi militari verso i paesi del Medio Oriente per oltre 5 miliardi di euro: oltre al già menzionato contratto con Israele per i velivoli M-346, si tratta di contratti principalmente con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a cui Fincantieri ha già consegnato due pattugliatori stealth e una corvetta. Ma non va dimenticato che l’Italia è stata il maggior fornitore europeo di sistemi militari alla Libia di Gheddafi mentre, come ha ripetutamente segnalato l’Osservatorio Opal, sono ingenti anche le forniture italiane di “armi leggere” a diversi paesi del Medio Oriente e anche alla Turchia, paese della Nato che però non esercita controlli adeguati e trasparenti sulle esportazioni di queste armi».
Si può interrompere il flusso di questi scambi commerciali?
«Il problema non è quello di interrompere un semplice flusso, ma di mettere un freno a quella che nella regione mediorientale è ormai diventata una vera e propria corsa agli armamenti. Oltre ai paesi già menzionati va ricordato il Qatar, che ha recentemente annunciato ordinativi di armamenti per 23 miliardi di dollari e ha intrapreso un braccio di ferro con l’Arabia Saudita per la leadership in una regione quanto mai instabile, come le stesse “primavere arabe” ci hanno mostrato. La gran parte dei paesi dell’area, grazie ai proventi del petrolio, presenta un rapporto tra spese militari e prodotto interno lordo tra i più alti nel mondo. Per contrastare la minaccia rappresentata da Teheran, gli Stati Uniti stanno autorizzando nuove e ingenti forniture di armamenti alle monarchie saudite: tutto ciò preoccupa il governo di Israele che, a sua volta, chiede ed ottiene da Washington forniture per sistemi militari ancora più sofisticati».
Come si spiega, a suo giudizio, questa corsa agli armamenti in un‘area così pericolosa?
«Questa escalation di armamenti non dipende solo – e per certi aspetti forse nemmeno principalmente – dall’instabilità della regione mediorientale. La crisi economica che da anni sta investendo le economie occidentali e la conseguente restrizione dei budget per il settore della difesa sta, infatti, portando diversi governi, e in modo particolare quelli dell’Ue, ad incentivare le esportazioni di armamenti allo scopo di sostenere le proprie industrie militari, tanto che diversi ministri e funzionari della Difesa dei paesi europei sono ormai riconosciuti come espliciti promotori delle industrie di questo settore. Se non si affronta, almeno tra i paesi dell’Ue, il nodo centrale della politica di sicurezza e di difesa comune e, di conseguenza, del necessario e ormai urgente ridimensionamento delle industrie nazionali degli armamenti, questa tendenza andrà aggravandosi».
Quale è il nodo da sciogliere? Mi ha parlato di una situazione paradossale…
«Il paradosso è chiaro, almeno a chi lo vuol vedere: per cercare di mantenersi competitiva la cosiddetta “industria della difesa” invece che produrre maggior sicurezza finisce col cercare nuovi acquirenti e vendere armi soprattutto nelle zone di maggior tensione del mondo, come appunto il Medio Oriente. Le parole che papa Francesco ha ripetutamente dedicato al tema della corsa agli armamenti costituiscono perciò un monito su cui è bene che tutti, comprese le classi dirigenti, comincino a riflettere seriamente».
Fonte: http://www.cittanuova.it/