Reduci dall’iperfagia pasquale, non sarebbe male fare una riflessione su questa festività, sulla sua genesi e trasformazione storica. Come per tutte (tutte!) le altre festività cristiane, anche la Pasqua non è l’anniversario reale di un avvenimento della storia giudaico/cristiana, ma la sovrapposizione a un culto preesistente stabilita a tavolino: tutte le festività cristiane sono sovrapposte a precedenti festività pagane consolidate, in base alle decisioni conciliari del proto-cristianesimo ormai trionfante già dal IV e V secolo.
La Pasqua cristiana commemora la resurrezione del Cristo. E’ una festività errante, nel senso che non cade sempre lo stesso giorno, ma ha una dipendenza astrale e varia in base alle fasi lunari. Infatti cade la prima domenica dopo la luna piena dopo l’equinozio di primavera. (21 marzo). Perché un calcolo così elaborato invece di una data fissa? Vediamo!
Il proto-cristianesimo del I secolo era costituito da un gruppo di ebrei che voleva rinnovare l’ebraismo secondo la visione riformatrice di Joshua/Yahushua, un “rabbi” rivoluzionario dalla predicazione efficacissima. Non esistevano ancora “cristiani”, ma solo un gruppo di ebrei riformatori ed eretici. Joshua/Gesù (il mashiach/ khristòs) predicava solo ai giudei, il suo popolo e quindi i suoi seguaci erano solo ebrei, non c’era ancora distinzione tra le due religioni (avverrà solo con Paolo di Tarso che si rivolgerà soprattutto ai “gentili”, i pagani cristianizzati) né tantomeno tra le festività.
Gli ebrei festeggiavano un avvenimento fondativo della loro identità: quando Yahweh/Jahve decide di colpire gli egizi con l’intento di liberare il suo popolo dalla schiavitù indirizzandolo verso la terra promessa, impone agli ebrei di uccidere un agnello e col suo sangue segnare le loro case, in modo da poterle riconoscere quando manderà l’angelo ad uccidere (!) tutti i primogeniti egizi. L’angelo vedendo gli stipiti imbrattati di sangue “passerà oltre”. Quel termine “passerà oltre” viene espresso in ebraico col termine “PESACH”. Pesach è la Pasqua ebraica, celebrata quindi anche dai seguaci ed epigoni del Joshua anche dopo il distacco dalla casa madre ebraica, che verrà poi definitivamente ratificata dal Concilio di Nicea nel 325, stabilendone e conservandone il metodo di calcolo.
Quindi: la Pasqua cristiana deriva dalla Pasach ebraica, non è solo una translitterazione fonetica: i cristiani utilizzano una festività precedente consolidata per commemorare l’evento più importante della loro nuova religione, la resurrezione del loro Dio fatto uomo.
Ma gli ebrei chiamavano e chiamano la Pesach anche “festa di primavera”; in effetti la Pasqua è legata strettamente all’avvento della primavera, il 21 marzo, equinozio di primavera, appunto. La presenza della primavera, della morte e della rinascita ci fa scattare un campanello e ci fa capire che si tratta di un culto molto più antico. E infatti……
La data della Pesach a sua volta come è stata stabilita dagli ebrei? Certamente non conoscevano il giorno in cui l’angelo era “passato oltre”. E allora? E allora la Pasqua ebraica a sua volta ricalcava una festività e un culto molto più antico, legato al paganesimo pre-biblico di tutti quei popoli che abitavano quella regione: caldei, fenici, accadi, assiri e babilonesi.
L‘anno solare, di 10 mesi, iniziava a marzo (anche a Roma il calendario pre-romuleo era di 10 mesi e iniziava a marzo): i mesi invernali più freddi, coincidenti più o meno col nostro gennaio e febbraio, non venivano presi in considerazione spogli com’erano, senza segni di vita. L’anno iniziava a marzo e finiva a dicembre e la luna scandiva i cicli mensili. Tutto questo era il residuo di un’antichissima cosmovisione legata alla terra e al ciclo delle stagioni, alla morte e alla rinascita della vegetazione e degli armenti, alla fecondità delle donne e al loro ciclo riproduttivo, alla durata della gestazione uguale alla durata dell’anno. Questa concezione è stata rappresentata per decine di millenni dalla raffigurazione della Grande Madre attraverso statuine fittili, in pietra, graffite e dipinte, migliaia di esemplari sparsi per il Mediterraneo e non solo: l’energia cosmica vestiva fertili panni femminili.
Tra le varie occasioni di culto legate alla Grande Madre e ai cicli di fertilità, la più importante coincideva sicuramente con l’inizio dell’anno, quando il sole si sposta verso il nostro zenith e inizia il tepore primaverile, la Natura si risveglia (risorge!) e la vita riprende il suo ciclo. Come abbiamo detto, ciò avveniva e avviene intorno all’equinozio di primavera.
Questa festività era quindi legata all’osservazione del sole: si osservava la linea dell’orizzonte verso oriente (che significa “nascente”, participio presente dal latino “orior” = nasco) e quando il sole arrivava a un punto prestabilito sullo skyline dell’orizzonte, si celebrava il nuovo anno. Ma ATTENZIONE! A presiedere questa nascita era la Grande Madre, vera regina della Terra, l’unitaria energia cosmica che presiedeva al tutto e quindi anche alla nascita giornaliera e alla crescita annuale dell’astro solare. La sua epifania più importante era la Luna, che la rappresentava pienamente con i suoi cicli e le sue rinascite: non poteva esserci festa senza la presenza della Dea.
Lo sguardo è rivolto ad EST, là dove il sole nasce, ma è rivolto anche alla Luna, in attesa della sua pienezza: quando la Luna/Dea/Grande Madre è nel pieno del suo fulgore si può dare inizio alla festa, perché in quel momento avviene la ierogamia, le nozze con il Sole.
C’è una prova evidente che le festività pasquali giudaico/cristiane si rifanno a questi antichissimi riti arcaici e sta in un banalissimo accostamento filologico. Nelle lingue rimaste più indenni dal revisionismo linguistico cattolico, come l’inglese e il tedesco, le radici di molte parole riconducono a civiltà pre-cristiane. EST/EAST/OSTEN, termine indoeuropeo con comune radice ST, fonema invariato per indicare l’oriente (per metonimia, notiamo che il verbo italiano “orientare” significa direzionare e non più “rivolgere verso est”, com’era il suo significato originario. Potremmo dire correntemente “oriéntati verso sud” senza più percepirne la contraddizione). L’est è il luogo dove nasce la luce, il settore di cielo abitato dagli dei favorevoli, al contrario dell’occidente, del tramonto, luogo del buio e della morte.
La Grande Madre, la Dea della fecondità e della vita era presente in tutto il Mediterraneo e per decine di millenni ha presieduto e garantito l’eterno ritorno del sole e delle stagioni; all’est ella rivolgeva il suo sguardo vivido. Anche quando fu soppiantata da divinità maschili, sopravvisse nelle multiformi e diversificate divinità femminili tutrici della fecondità dei campi e dei corpi, dell’amore sessuale così come delle sementi.
Nei nomi di queste divinità c’è quell’antico fonema/radice, quell’antica origine ST/EST giunta fino a noi, una traccia tra tante del culto della Madre Terra. Pasqua in inglese e tedesco si dice EASTER e OSTERN: il richiamo all’EST geografico è evidente in quella radice ST. La comune radice prova il contatto originario fra luogo e festività. Ma non basta.
La stessa radice ST compone i nomi delle dee mediterranee eredi della Grande Madre, a riprova di un’unità primigenia tra luogo, evento e culto, un’unità spazio/temporale sacra. Infatti: ISHTAR era la dea babilonese della fertilità; ASTARTE/ASHTART la dea fenicia presente in tutto il Mediterraneo, anche nella nostra Phyrgi dove aveva un tempio, o a Mistretta, paese in provincia di Messina dove ogni anno si svolge la festa dei “Giganti” , cioè figli della terra (Gea-genoi) e che deriva il suo nome da AM-ASHTART; la biblica ASHTORETH e la germanica dea-lepre equinoziale EOSTRE. Fino alla greca ESTIA, fondamentale dea aniconica del focolare, alla nostra VESTA e alle VESTALI sue sacerdotesse legate all’inestinguibile fuoco sacro, arcaica analogia con l’eterno ritorno della luce e del calore solare.
Un’ultima annotazione folcloristica: i gestori dei supermercati che accatastano sugli scaffali le colorate uova pasquali di ogni dimensione e forma accanto ai coniglietti di cioccolata non immaginano che l’UOVO è stato un simbolo di fecondità in tutte le culture del Mediterraneo. Le figure sdraiate sui sarcofagi etruschi spesso sono raffigurate nell’atto di porgere un uovo, simbolo di rinascita. Eurinome depose l’Uovo Universale da cui nacque il mondo e la lepre è stata sempre un simbolo di fecondità per la sua nota capacità riproduttiva, tanto che la dea EOSTRE era raffigurata a volte con la testa di lepre.
Sole nascente, luna piena, primavera, uova e conigli: la nostra “pasquetta” ripete quel rito di fertilità traducendolo in una festa campestre.
Giuliano Fabriziani